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La Rai sprona Amadeus: «Squadra che vince non si cambia». Lui frena: «Devo pensarci»

«I sì e i no non vanno detti a caldo, dopo una notte in cui ho dormito tre ore», spiega il direttore artistico. E sui tre anni: «Il mio primo festival ha fatto “Rumore”, il secondo ha fatto stare “Zitti e buoni”, il terzo è da “Brividi”»

A cantargli il «peana» è venuto l'amministratore delegato della Rai in persona, Carlo Fuortes, pronto a lanciare il festival quater: «Squadra che vince non si cambia. Sarebbe pazzesco non partire da questo successo, ma dobbiamo parlarci e il primo a volerlo deve essere Amadeus». E lui, il condottiero che torna vincitore dalla battaglia, è «onorato della proposta», ma prende tempo: «Ringrazio l’ad, ma come ha detto Fuortes dobbiamo ragionare a menti riposate. Fare Sanremo per me è un lavoro molto lungo. C'è bisogno di idee, di forza, di prendere le cose in maniera molto seria. Avremo modo di vederci e chiacchierare serenamente. La Rai è casa mia».

L’ex ragazzo di via Massena, il giovanotto di Radio Deejay che da bambino sognava di fare il bravo presentatore, l’ex gaffeur che ora fa il «passo indietro» con le partner femminili e regala fiori anche agli uomini, ha imparato le arti della riflessione e della diplomazia: «Deve partire tutto dalla mia testa, ecco perché i sì e i no non vanno detti a caldo, dopo una notte in cui ho dormito tre ore». Il trionfo, però, se lo gode tutto: gli ascolti stellari, 11,2 milioni e il 58.4% di share medio, il record della raccolta pubblicitaria da 42 milioni, il boom sui target più giovani. «Diciamo che il mio primo festival ha fatto “Rumore”, il secondo ha fatto stare “Zitti e buoni”, il terzo è da “Brividi”», scherza citando i brani vincitori.

«È una giornata speciale, una di quelle che voglio ricordarmi per sempre. Il primo anno, il 70/o Sanremo, con Fiorello, è stato il festival dell’assembramento, della gioia, sembrava di vivere un sogno. L’anno dopo siamo piombati nel dramma: è lì che ho deciso di dare al pubblico, soprattutto ai più giovani, chiusi in casa, il loro festival. È nata così l’edizione della rivoluzione musicale, dei Maneskin e del record della raccolta pubblicitaria. Quest’anno siamo ripartiti dalla musica in gara: i miei superospiti erano i concorrenti, ringrazio loro e le case discografiche, alcuni pur di esserci mi hanno mandato anche più di un pezzo».
Il ringraziamento abbraccia i vertici, a partire dall’ad che gli ha dato «piena fiducia», il direttore di rete Stefano Coletta che «ha condiviso ogni scelta», «la redazione» e «tutti i reparti della Rai». Una menzione speciale va a «Ciuri», «perché il primo anno ha accettato di fare Sanremo, il secondo si è caricato sulle spalle il festival, il terzo è venuto appositamente per fare qualcosa per me fondamentale: partire bene. Se segni nei primi quindici minuti la partita prende un altro percorso».

Tra protocolli di sicurezza, mascherine, barriere di plexiglas, forfait dell’ultimo minuto, «la paura più grande - ammette - era quella di contagiarmi. Alla vigilia avevo detto in maniera sbruffona che se mi fossi ammalato saremmo rimasti tutti qui per dieci giorni. Ma davvero non c'era un piano B e ogni volta che facevo il tampone ed era negativo, uscivo dalla stanza che sembrava avesse segnato Lautaro».

I momenti più emozionanti, «la discesa delle scala: in cima ero tranquillo, ma all’apertura del sipario vedere e sentire il pubblico mi ha fatto andare il cuore in gola; gli amici, Rosario, Checco, Lorenzo; la musica». Quanto all’assenza di polemiche politiche, «non me ne occupo, non vado a leggere giudizi, commenti. Mi piacerebbe che questo venisse ricordato come il festival delle canzoni e della libertà, di dire, di giocare, di vestirsi come si vuole. Poi certo sono colui che è responsabile di ciò che va in onda, che tiene le redini del cavallo, ma sono avvantaggiato: cavalco dall’età di 7 anni, mio padre è istruttore di equitazione».

«Nessun rimpianto», né consigli per il futuro della manifestazione: «Non potrei mai darne a nessuno, ognuno farà Sanremo come meglio crede. Ma una cosa è certa: dopo il festival di Baglioni, con Mahmood e Ultimo, dissi che si era aperto uno spiraglio verso la musica contemporanea. Ora quella porta è spalancata, e non va richiusa».
Da domani (lunedì) lo aspettano i Soliti Ignoti, da sabato 12 febbraio «Affari tuoi formato famiglia», in cui riformerà la coppia con Giovanna Civitillo: «Condividiamo molto tutto, amo portarmi la mia tribù al seguito, mia moglie, i miei figli, il cane, per me sono una fonte di energia normalità, serenità. Una vacanza? Non credo - sospira - che riusciremo a farne una prima di giugno».

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