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Da Luigi a Claudio, l'alta classe è Italiano

Un padre e un figlio, fieri del loro cognome al quale rendono onore ogni giorno: Claudio e Luigi Italiano cuciono i loro abiti a Palermo. E dalla propria sartoria guardano al mondo. Con impegno e dedizione. Sartoria Italiano è una eccellenza italiana, che si è guadagnata questo titolo per un lavoro che porta lo stile italiano in tutto il mondo, un’espressione meravigliosa del Made in Italy dove al centro la qualità, la massima espressione dell’essere artigiano, la cura dei dettagli. Centrale è il rapporto padre-figlio. Ne parliamo con Claudio Italiano.

Cosa ha rappresentato suo padre per lei?
«Mio padre sicuramente è e sarà sempre il mio primo maestro e punto di riferimento».

Come suo padre ebbe l'idea di lavorare in questo settore?
«L’idea cominciò come una vocazione vera e propria, ovvero alla tenera età di quasi 2 anni i miei mi misero attorno al collo il metro da sarto e le forbici in mano. Per certi versi, potremmo considerarla una sorta di battesimo di fuoco, infatti c’è una fotografia che mi ritrae esattamente in quel momento».

Cosa ricorda lei da bambino di suo padre?
«Il mio ricordo è legato al periodo delle scuole elementari, intorno ai 7/8 anni credo, ovvero dopo l’anno scolastico passavo tutte le estati in sartoria. Da lì a poco a poco cominciavo a prendere dimestichezza con gli attrezzi da lavoro».

Da bambino lei, quindi, aveva iniziato a stare nella sartoria di suo padre?
«Sì. Da lì in poi passavo tutte le estati in sartoria, sia nel periodo delle scuole medie che delle superiori. Poi una volta abbandonata l’università, frequentando l'Accademia di Belle Arti di Palermo all'indirizzo Scenografia, ho deciso di dedicarmi solo ed esclusivamente alla sartoria».

Di quegli insegnamenti cosa ha riportato nella sua vita?
«Il concetto di mio padre secondo me era “Insegnati l’arte e mettila da parte”».

E nell'attività?
«Ricordo che mio padre era sempre ben vestito ed elegante. Così come lo è tutt’ora a 82 anni. Era molto severo, credo che abbia influito molto sulla mia formazione professionale. Diciamo che per certi versi ho respirato l’aria di bottega di una volta. Mio padre viene da quella generazione dove per imparare il mestiere ci volevano almeno una decina di anni perché nessuno te lo insegnava. Dovevi per forza “rubare” con gli occhi, e questo è quello che ho fatto, e tutt'ora faccio, perchè in questo mestiere c'è sempre qualcosa da imparare. Ma sicuramente la cosa che ricordo era l’aria che si respirava. Io mi divertivo tantissimo, c’erano i lavoranti anche e si scherzava sempre, ma nel momento di lavorare eravamo tutti seri ovviamente».

Cosa ha portato di quel periodo nei giorni nostri?
«Lo spirito di sacrificio, capire l’importanza e il bello di un abito sartoriale, la creatività e originalità che nasce da un pezzo di tessuto. E anche, naturalmente, i valori umani».

Parliamo dell’attualità...
«Nell’attività ho portato innovazione, anche se pensiamo sempre che la migliore pubblicità avviene sempre con il passaparola. Molti dei clienti si confrontano anche con me, e quindi questo per me è un valore aggiunto e motivo di orgoglio. Si fanno consigliare e ancor di più mio padre è sempre al mio fianco».

Se potesse tornare indietro nel tempo cosa sarebbe orgoglioso di mostrare a suo padre della sua sartoria?
«Se tornassi indietro rifarei tutto, anche se mio padre non lo dimostra lui, in cuor suo, è sempre orgoglioso di me».

Di cosa sarebbe rimasto impressionato e cosa pensa sia importante in un'azienda che si tramanda di generazione in generazione?
«La sinergia in un’attività a conduzione familiare è fondamentale, se manca quella non si può andare avanti. È il sistema vincente. Poi è chiaro che a volte ci possono essere incomprensioni o delusioni, ma l’importante è sempre reagire e mai abbattersi, come dico sempre, sbagliando s’impara».

Lei pensa di avere gettato le basi anche per figli e nipoti?
«Mi auguro di sì. Sarei davvero molto felice un giorno che come ho fatto io, qualcun altro porti avanti l’attività di famiglia».

E cosa raccomanderebbe loro?
«Non abbattersi e reagire sempre quando le cose vanno male».

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