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Aggressioni al pronto soccorso, grido d'allarme dei medici: «Tanta violenza e pochi incentivi»

«A Trapani dovremmo avere 81 medici di pronto soccorso, ne abbiamo 21 e 13 lettere di dimissioni già pronte». «A Catania nel 2021 sono morti 200 pazienti in pronto soccorso».

Questo il grido di aiuto che si leva da Palermo, dove, a Villa Magnisi, si è svolta una conferenza organizzata dalla segreteria regionale Cimo (Confederazione italiana medici ospedalieri) e dalla federazione Cimo-Fesmed (Federazione sindacale medici dirigenti) della Sicilia, sulla drammatica situazione dei pronto soccorso in Sicilia.

Alla presenza del presidente dell’Ordine dei medici, Toti Amato e dell’assessore regionale alla Sanità, Ruggero Razza, sono stati esposti i problemi e le gravi carenze che affliggono i centri di pronto soccorso regionali, «il biglietto da visita degli ospedali», come li ha definiti Riccardo Spampinato, presidente della federazione Cimo-Fesmed.

Criticità che si riconducono alla carenza di personale e, fattore ancor più allarmante, i medici più giovani evitano di entrare nel mondo del PS - ogni anno sono 5 gli specializzati in medicina d’urgenza nell’intera regione - a causa delle sempre più frequenti aggressioni subite e il surplus di lavoro che li attende.
Un’assenza che produce lunghissime ore di attesa, che in certi casi toccano le vette delle 72 ore, al triage, le soste infinite dei pazienti in barella prima di ottenere un posto letto e le conseguenti scene di aggressione di cui ormai troppo spesso di sente parlare.

Un problema che, in questo caso, unisce tutta italia: «Lo sguardo sui pronto soccorso ha impegnato l’intera conferenza Stato-regioni - ha affermato l’assessore Razza - e possiamo dire che spesso questo grave problema è più presente negli ospedali del nord. Ma io rifiuto il mal comune mezzo gaudio».

In Sicilia, infatti, in fase pre pandemica, era stato lanciato il progetto training on the job, che aveva portato tanti specialisti ad operare all’interno delle strutture del pronto soccorso portando un minimo di sollievo, seppur momentaneo. Inoltre, con l’avvento del Covid, si era creato un paradosso: nei 18 mesi di emergenza sanitaria, infatti, i pronto soccorso avevano vissuto una fase di respiro, quando i medici non specializzandi hanno potuto operare nei PS. Una situazione terminata però al 31 marzo, allo scadere della fase d’emergenza.

Una delle ipotesi avanzate è la chiusura dei Pte - punti di emergenza territoriali -, che erogano meno di tremila prestazioni annue, per poter utilizzare il personale negli ospedali. Un’ipotesi, però, respinta dall’assessore, poiché si tratta di personale che non può essere assunto a tempo indeterminato. Le soluzioni più facilmente attuabili, al momento, provengono dalle segreterie del Cimo e della federazione Cimo-Fesmed: «Bisognerebbe triplicare - dice Giuseppe Bonsignore, segretario regionale Cimo - il carattere economico del gettone di guardia al pronto soccorso. Così, si renderebbe più appetibile la notte e kilo gettone potrebbe fungere come strumento di attrazione».

Riccardo Spampinato, presidente Cimo-Fesmed, propone «un’indennità di funzione per chi lavora al pronto soccorso».

Nel frattempo il presidente dell’Ordine avverte: «Finché saranno gli economisti a governare il bisogno di salute, quest’ultima scivolerà sempre in secondo piano. Il compito è dare risposte a questi bisogni».

video di Marcella Chirchio

interviste a Toti Amato, presidente dell'Ordine dei medici; Ruggero Razza, assessore regionale alla Salute; Tiziana Maniscalchi, responsabile area emergenza del Cervello di Palermo

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