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Nomadi digitali, l'Italia tra servizi e norme ad hoc

Professionista, con un grado di studi elevato e il grande sogno di lavorare viaggiando (e non più soltanto di viaggiare per lavorare). È il ritratto del Nomade digitale 2.0, categoria a metà tra turista e lavoratore, in crescita in tutto il mondo, protagonista del nuovo forum ANSA-Incontra curato dalla Redazione cultura e turismo dal titolo “Italia, un Paese per nomadi digitali?” (in streaming su ANSA.IT.)

Un trend che esisteva già prima del 2020 e “che la pandemia ha solo accelerato”, racconta al Forum Alberto Mattei, presidente dell’associazione italiana nomadi digitali che con Airbnb ha appena stilato il Secondo Rapporto sul Nomadismo Digitale in Italia. “Statistiche non ufficiali - dice - contano 35 milioni di persone che nel mondo si autodefiniscono nomadi digitali”.

Dimenticate però il ventenne freelance, zainetto in spalla, come testimonia dall'Indonesia l'imprenditore Dario Vignali. “In Italia l’età media è 37-40 anni. All’estero sono un po’ più giovani, perché il concetto di digitalizzazione e lavoro da remoto è maggiormente diffuso – spiega Mattei - La maggior parte sono dipendenti o collaboratori di aziende, egualmente donne o uomini, principalmente nel mondo della comunicazione, marketing e information tecnology”. Se a questo si aggiunge che per quasi un nomade digitale su 2 la permanenza potrebbe durare oltre i 3 mesi e fino a un anno, ecco spiegato quanto il nuovo flusso faccia gola non solo al settore turistico, ma all’intero territorio di destinazione. Che non è quello già baciato (e stressato) dal grande turismo di massa, perché, come racconta Mattei, “il 43% degli intervistati in Italia preferirebbe andare nelle regioni del sud e nelle isole. E il 93% sarebbe disponibile anche a soggiornare in piccoli comuni o aree marginali”.

Il paradosso, però, è che se l’Italia è nei sogni di tutti, resta invece indietro tra le mete "praticabili" per i remote worker. “Nella classifica di Nomad List delle città più ospitali per chi vuole lavorare viaggiando – riporta il deputato M5S Luca Carabetta - la prima italiana è Palermo in posizione 200, Torino è al numero 1.200”. Gli ostacoli? “Ovviamente ci sono delle condizioni ritenute necessarie – dice Giacomo Trovato, Country Manager di Airbnb Italia - Il 65% degli intervistati del Rapporto cita internet, il 61% il costo della vita ma il 40% anche le attività culturali” da vivere sul territorio. Il colosso americano crede talmente tanto nel trend che non solo annuncia “una campagna globale per promuovere le mete che abbiano le condizioni per lavorare in remoto” ma anche “una politica totalmente flessibile per i propri lavoratori che da oggi possono esercitare indistintamente da casa o in ufficio, in qualunque luogo del proprio Paese e per periodi prolungati anche dall’estero”.

Intanto pioniera in Italia è Brindisi, che, quasi provocatoriamente, nel 2020 ha lanciato la campagna Sea working con in palio 10 giorni di vita e lavoro in barca e vela. “Non abbiamo un passato da città turistica classica – spiega l’Assessora al Turismo della città, Emma Taveri - ma ci stiamo modellando sulle nuove tendenze. Oggi lavoriamo su prodotto e servizi in modo partecipato con enti e comunità locale, anche per il work and life balance”.

La svolta dovrebbe arrivare ora dal Governo, grazie a una proposta di legge, di cui il deputato Carabetta è primo firmatario in Commissione affari costituzionali, per introdurre la nozione di remote worker con un visto d’ingresso ad hoc. “Il Governo deve rendere attuativa la norma, ma la sola notizia dell’approvazione ha fatto il giro del mondo, dal Times a Forbes – dice - Questo dimostra che c’è grande interesse a livello internazionale nei confronti del nomadismo digitale e a farlo in Italia”. Norme simili hanno portato ottimi risultati “in Estonia ma anche in Georgia, Malta, Portogallo – aggiunge Trovato – L’Italia è indietro, ma ci sono bacini molto interessati come gli Usa".

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