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Fontana, terra e oro oltre lo spazio

ROMA - Con la loro luce brillante e quel modo di protendersi nello spazio, sembrano avvolgere il visitatore in un grande abbraccio, mentre lo sguardo si posa sulla magnificenza delle opere antiche e delle decorazioni tutto intorno. Sono 27 splendide Crocefissioni in ceramica il primo assaggio della mostra "Lucio Fontana. Terra e oro", allestita a Roma alla Galleria Borghese dal 22 maggio al 28 luglio in omaggio al grande artista novecentesco. L'esposizione, dedicata a due produzioni specifiche di Fontana, quella appunto dei crocefissi in ceramica e quella dei Concetti spaziali dipinti in oro, presenta circa 50 opere realizzate tra il 1958 e il 1968. Ad aprire il percorso, nell'imponente salone d'ingresso, a tu per tu con la genialità di Bernini e Canova, la serie di Crocefissioni in ceramica (a cui si aggiungono il delicato Fiocinatore in gesso dipinto, realizzato negli anni '30, e il dirompente Arlecchino del 1948, che rapisce lo sguardo con il suo mosaico dai colori sgargianti), opere che rivelano, nella conquista di un linguaggio scultoreo originale da parte di Fontana, un legame ancora presente con il gusto barocco. La seconda parte del percorso accoglie i Concetti spaziali, serie di dipinti in cui la riflessione sullo spazio si fa preponderante: sono opere in cui Fontana compie l'atto di tagliare e bucare non per distruggere, ma per avvicinarsi alla realizzazione del suo pensiero e in cui sceglie il colore oro come veicolo di massima astrazione e sintesi di luce e spazio.

La mostra è stata concepita con intelligenza e rigore scientifico da Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese, la quale però di fronte alla stampa non nasconde il rammarico di non aver potuto avere tra le opere esposte anche "l'unica tela in oro della serie La fine di Dio, perché l'ambasciatore italiano a Tokyo ha ritenuto opportuno non rimuoverla dalla sua residenza e non prestarla alla Galleria Borghese per questa mostra". "E' un vero peccato, perché quest'opera di Fontana appartiene allo Stato italiano", spiega con amarezza, "evidentemente il ministero dei Beni culturali non ha potuto o saputo imporsi. Inoltre l'opera, in Giappone dagli anni '60, avrebbe avuto bisogno di essere restaurata e noi ci siamo anche offerti di farlo, ma non è servito". In ogni caso, anche con questa assenza importante, il percorso sorprende e affascina: non soltanto perché affronta con uno sguardo nuovo una specifica e significativa produzione di Fontana, ma soprattutto per la capacità di costruire una relazione critica tra le opere dell'artista e quelle della collezione della Galleria, in un continuo dialogo con l'antico.

"Fontana è un artista difficile e alla Galleria è il primo italiano del '900 a essere esposto. Portarlo qui può essere utile a cogliere la varietà di stili, tecniche e straordinarie individualità che il nostro museo può offrire", prosegue Coliva, "ma forse Fontana, che ha risolto il problema eterno dell'arte figurativa, ossia quello dello spazio, serve soprattutto perché dialoga con un luogo non neutro né deputato ad accoglierlo come la Galleria: un museo in cui ci sono infinite rappresentazioni dello spazio. Se nell'arte la rappresentazione spaziale è pur sempre una finzione, con Fontana lo spazio si crea". E proprio salendo al primo piano, con le tele a fondo oro dell'artista inserite tra le opere della collezione, il percorso giunge a compimento: poste accanto ai capolavori antichi, da Tiziano a Raffaello, i dipinti di Fontana si svelano in un effetto dirompente. I buchi e i tagli delle tele, nel trionfo dell'oro (in continuità ideale, o scontro, con l'oro metafisico della pittura antica) sono atto creativo libero, sono scoperta e conquista di una nuova dimensione che appunto costruisce lo spazio e, in qualche modo, lo supera. 

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