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Cervello, scoperti i meccanismi che fanno amare il rischio

Identificati nel cervello i meccanismi che portano ad amare il rischio: scoperti nelle persone malate di Parkinson, potrebbero consentire di sviluppare terapie personalizzate per curare alcuni sintomi comportamentali della malattia, oltre a quelli motori. Il risultato, pubblicato sulla rivista Movement Disorders, si deve all'Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e all'Azienda Ospedaliero Universitaria (Aou) di Careggi.

"I risultati confermano che l'area che abbiamo studiato ha un ruolo di freno per le decisioni rischiose, ed è quindi fondamentale nel processo decisionale", rileva Alberto Mazzoni, coordinatore dello studio e responsabile scientifico del Laboratorio di Neuroingegneria Computazionale dell'Istituto di Biorobotica. I meccanismi identificati, prosegue "possono consentire di sviluppare tecniche per curare alcuni sintomi comportamentali del Parkinson, oltre a quelli motori e nello stesso tempo ci danno un quadro più chiaro del ruolo delle varie aree del cervello nel processo decisionale".

Studi recenti indicano che la rete di piccole strutture di neuroni (i gangli della base) che aiuta la corteccia cerebrale a controllare i movimenti controlla anche i comportamenti, modulando in questo modo la tendenza al rischio. Nelle persone con il Parkinson i gangli della base non funzionano più correttamente e le conseguenze sono molto gravi non solo sui movimenti, ma sui processi decisionali, determinando un disturbo del controllo degli impulsi che aumenta l'attrazione verso tutto ciò che è rischioso.

Per capire i meccanismi alla base della malattia i ricercatori hanno registrato e confrontato l'attività di singoli neuroni nei gangli della base di pazienti con il Parkinson con o senza disordini del controllo degli impulsi. Le differenze emerse hanno permesso di creare un algoritmo per identificare i pazienti con disordini, basandosi sull'osservazione dei loro neuroni.

Secondo Silvia Ramat, responsabile della Parkinson Unit dell'Aou di Careggi, lo "studio rappresenta un passo con importanti implicazioni cliniche che consentirà di attuare una terapia estremamente personalizzata per ogni paziente".

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