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Emicrania, quando il dolore incide sulla vita professionale

Difficoltà a programmare, a stare al passo con i ritmi della vita quotidiana, a gestire bene il dolore e le conseguenze che esso porta, come l'isolamento sociale. L'emicrania impatta in maniera radicale e devastante sulle persone. "Possiamo parlare di un dato noto a livello internazionale: se prendiamo la popolazione femminile dai 18 ai 50 anni, dati di 2 anni fa, l'emicrania può esser considerata la patologia di maggior disabilità per mancanza di vita vissuta in maniera adeguata", afferma senza esitazioni il dottor Edoardo Mampreso, specialista neurologo dell'Ausl 6 Euganea di Padova, responsabile dell'ambulatorio dedicato alle cefalee.
"La mancanza di programmazione porta ad esempio a un certo tipo di scelte professionali - spiega ancora Mampreso - che possono prendere percorsi piuttosto che altri, per evitare di avere più mal di testa". C'è anche il problema del mondo del lavoro, "le assenze, infatti, non vengono riconosciute. Altro dato, lo sforzo che una persona può fare per essere presente, si chiama presenteismo, il fatto di volersi impegnare a tutti i costi a discapito della propria salute".
Ma le difficoltà per chi soffre di emicrania sono anche in famiglia. "Il mancato riconoscimento della persona che ha il mal di testa passa per percorsi fuorvianti, quindi vengono date etichette dal parente, dall'amico, definizioni che non sono mai appropriate e questo è il grosso problema del nostro paziente, che non ha una diagnosi specialistica". Di conseguenza le persone che non hanno una terapia adeguata seguono "percorsi di autogestione, di auto-somministrazione, potremmo dire di auto-cura - sottolinea infine l'esperto - che spesso però portano a una progressione della malattia non condotta e non guidata dagli specialisti".

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