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Lavorare dal Sud per il Nord, l’associazione South Working: “Vantaggio per tutti"

Questo contenuto è stato realizzato in collaborazione con Edgemony.

Di cose brutte, in questo 2020, ne abbiamo viste parecchie. Tuttavia, bisogna riconoscere che l’emergenza legata al Covid-19 ha anche dato avvio a una rivoluzione del mondo del lavoro mai vista prima e che attendevamo da tempo. L’innovazione digitale di cui siamo parte attiva ogni giorno, sta finalmente rompendo un paradigma fisso nelle nostre menti dalla prima rivoluzione industriale, quello del lavoratore statico dentro a un fabbrica.

Espressioni come “lavoro da remoto” o “smart working” (che NON sono la stessa cosa, vi spieghiamo dopo le differenze, ndr) sono entrate così prepotentemente nel nostro vocabolario e nelle nostre vite che, ad oggi, sono quasi la normalità. Quasi, perché non tutte le aziende italiane comprendono ancora i vantaggi del lavoro da remoto o - nel nostro caso - del cosiddetto “south working”, ovvero del “lavoro dal Sud per aziende del Nord”.

Fenomeno che oggi - dati alla mano (rapporto Svimez 2020) - conta oltre 45 mila south workers tra ingegneri informatici, sviluppatori web, economisti e giuristi che hanno trovato nelle regioni del Meridione il loro nuovo “ufficio”. Numeri che potrebbero essere molti molti di più (quasi 100 mila lavoratori) se considerassimo anche le piccole e medie imprese.

I vantaggi ambientali, sociali ed economici dietro al South Working

Un’opportunità gigantesca, valida non soltanto per il lavoratore che torna nella sua terra d’origine, vicino ai propri affetti. No, a beneficiarne c’è tutto un indotto dietro di cui neanche ci immaginiamo. La pausa caffè a metà mattina si fa al bar sotto casa, l’affitto (o il mutuo) della casa si paga nella propria città, la cena, gli aperitivi, l’acquisto di un auto o di abbigliamento, la palestra… Tutto avviene nella propria città\regione di appartenenza. Il risultato?

“Si vengono a creare nuovi equilibri di mercato che generano inevitabilmente nuovi posti di lavoro - spiega Paolo Piacenti, vice presidente dell’associazione South Working - Lavorare dal Sud -. E’ un bene che fai alla tua terra e all’intero Paese, perché contribuiresti attivamente alla diminuzione del divario tra regioni del Nord e del Sud. Il south working ha risvolti molto più ampi rispetto al semplice fatto di stare vicini fisicamente alla propria famiglia”.

“E’ un vantaggio - continua Paolo - anche per coloro che fanno i lavori più pratici, tipo i camerieri. Più gente popola le città del Sud, più si muove l’economia di queste regioni già penalizzate da diversi punti di vista”. Ma non solo. A godere dei benefici del south working sono anche e soprattutto le aziende. 

“Economicamente, attuare il South Working (o il lavoro da remoto) alle aziende italiane conviene - sottolinea Paolo -. Si dimezzano, o si azzerano in alcuni casi, i costi per l’affitto degli uffici e tutto ciò che ci sta dietro”. Senza considerare i vantaggi sociali e ambientali che il South Working potrebbe portarsi dietro.

Pensiamo a regioni come la Lombardia: ogni giorno migliaia di persone prendono mezzi pubblici o si muovono in auto per raggiungere il proprio posto di lavoro. Se queste stesse persone lavorassero da casa, inquinerebbero meno, avrebbero una gestione del tempo più bilanciata e (come dimostrato) riuscirebbero anche a essere più produttivi.

Lavoro da remoto e nuove professioni digitali: “Si innescherà una nuova competizione”

“Non si è mai registrato un calo di produttività aziendale dovuto al lavoro da remoto - spiega Paolo dell’associazione South Working -. Anzi, siamo fiduciosi del fatto che con questo nuovo trend aumenterà sempre più la domanda di aziende alla ricerca di professionisti legati al digital e non solo. Ci sarà bisogno sempre più di nuove risorse e professionalità, tra cui sviluppatori web ed esperti di digital in tutte le sue forme, così come di nuove competenze. Siamo soltanto all’inizio”.

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Ecco perché è importante puntare sempre più sulla formazione professionale, ma anche manageriale. “Tra i nostri obiettivi, insieme ad Edgemony, c’è quello di aiutare sia le aziende che i dipendenti in questo percorso verso lo smart working - aggiunge -. Vogliamo condividere con i manager le best practice per imparare a sfruttare questo fenomeno, gli strumenti che il digital ci offre e tutto ciò che è ormai a nostro vantaggio. Siamo certi che le competenze digitali saranno uno degli strumenti attraverso i quali riusciremo a invertire, col tempo, il flusso migratorio dei talenti al Nord. Non ci sono più scuse”.

La differenza tra “smart working” e “lavoro da remoto”

Far comprendere la differenza tra lo “smart working” e il “lavoro da remoto” è uno degli obiettivi a lungo termine di South Working - Lavorare dal Sud, l’associazione no-profit di promozione sociale nata da un’idea della palermitana Elena Militello, che intende diffondere la possibilità di lavorare a distanza da dove si desidera, in particolare dalle regioni del Sud, per una maggiore coesione sociale, economica e territoriale e per ridurre il divario esistente tra le varie regioni.

Lo smart working, riferito al lavoro agile o “smart”, è molto diverso dal lavoro da remoto che la maggior parte di noi sta facendo in questi mesi. Con il termine smart working, infatti, si indica una modalità di lavoro flessibile (sia nei luoghi che nei tempi), con processi tecnologici migliorati e strumenti che rendono il lavoro più funzionale, agile, perché - per l’appunto - sono “smart”, intelligenti. Il lavoro da remoto, invece, è il cosiddetto “home working” o “telelavoro”, ovvero pc personali collegati ai server aziendali per via telematica.

Obiettivo: “attrarre i talenti al Sud”, ma servono più incentivi e servizi migliori

Tra le attività svolte dall’associazione South Working, c’è anche l’organizzazione e partecipazione a incontri e ricerche sul tema, la raccolta di tutti i contributi sul fenomeno in un apposito Osservatorio, il supporto ai lavoratori sui territori di destinazione, la creazione di una rete di soggetti interessati e lo sviluppo di collaborazioni multilivello ad ampio respiro.

“Intendiamo coinvolgere il più possibile le istituzioni in questo nostro progetto - conclude Paolo Piacenti -. Non basta avere un bel mare e un clima mite tutto l’anno per spingere i talenti a tornare al Sud. Ci vogliono azioni politiche precise. Far tornare i talenti al Sud è una grossissima opportunità, come continuare a mantenere questo trend anche dopo la pandemia, incentivandolo”.

Circa 9.000 persone seguono già la pagina Facebook di South Working - Lavorare dal Sud che ogni mese raggiunge direttamente un pubblico di circa 30.000 persone; circa 2.700 si sono iscritte alla comunità  peer-to-peer su Facebook per la condivisione di esperienze; circa 2.200 hanno invece risposto a un questionario esplorativo per i lavoratori lanciato a Luglio 2020, l’80% dei quali tra i 25 e i 40 anni, con elevati titoli di studio principalmente nei settori di Ingegneria, Economia e Giurisprudenza e attualmente per il 63% con un contratto di lavoro a tempo indeterminato.  Inoltre, l’associazione South Working sta elaborando una mappatura dei presidi per il South Working esistenti in Italia.

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