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Frodi su carburanti, 45 misure cautelari e 71 denunciati

Carabinieri e Guardia di finanza hanno eseguito misure cautelari nei confronti di 45 persone nelle province di Salerno, Brescia, Napoli, Caserta, Cosenza e Taranto: le accuse sono associazione per delinquere con l'aggravante del metodo mafioso finalizzata alle frodi in materia d'accise e iva sugli olii minerali, intestazione fittizia di beni e società, e truffa ai danni dello Stato.

I carabinieri del Comando provinciale di Salerno e i militari della Gdf di Salerno e Taranto stanno conducendo in tal senso un'operazione coordinata dalle direzioni distrettuali Antimafia di Potenza e Lecce ed eseguendo due ordinanze applicative di misure cautelari personali e reali emesse dai rispettivi gip. Altre 71 inoltre le persone denunciate a piede libero nell'ambito delle stesse indagini.

Le attività investigative hanno dato modo di accertare l'infiltrazione del clan dei Casalesi e del clan Cicala nel lucroso mercato degli idrocarburi nei territori del Vallo di Diano (Salerno) e del Tarantino. 

Attraverso figli e cognati gestiva alcuni lotti di un importante bene confiscato alla mafia casalese, Raffaele Diana, l'imprenditore che, con le sue aziende di carburanti, secondo la DDA, avrebbe favorito l'infiltrazione del clan di Casal di Principe nel tessuto economico del Vallo di Diano, in provincia di Salerno. L'indagine delle Direzioni Distrettuali Antimafia di Potenza e Lecce (45 misure eseguite) che ha svelato il business del carburante agricolo spacciato per normale carburante per auto, e gestito dai Casalesi sull'asse Campania-Puglia, in particolare tra Salerno e Taranto, tramite appunto Raffaele Diana, già coinvolto in precedenti indagini anticamorra concernenti però il traffico illecito di rifiuti, altro settore in cui è impegnata la famiglia dell'imprenditore casertano. "La Balzana" è grande proprietà terriera una volta appartenuta alla famiglia Schiavone. E' situata a Santa Maria la Fossa, nel Casertano, ed è divisa in 36 lotti assegnati ad altrettanti imprenditori agricoli; il bene è destinatario di importanti investimenti statali per decine di milioni di euro, che dovrebbero trasformarlo in Parco Agroalimentare dei prodotti tipici della Regione Campania.

Una "vera e propria miniera di oro nero" sull'asse Campania-Puglia, con "rilevantissimi profitti" per i clan - quello dei casalesi e quello dei tarantini - che hanno raggiunto i 30 milioni all'anno: sono due degli aspetti principali dell'inchiesta su frodi nel commercio dei carburanti delle direzioni distrettuali antimafia di Potenza e Lecce che, stamani, hanno portato in carcere 26 persone, undici ai domiciliari, oltre alla notifica di sei divieti di dimora. Prima conclusione raggiunta: la criminalità organizzata si finanzia "se non in via esclusiva, in via assolutamente prevalente", col traffico di droga e il contrabbando, "in proporzioni gigantesche, cui mai si era arrivati nel passato". In 14 mesi di inchiesta Carabinieri e Guardia di Finanza hanno scoperto che "ingentissime quantità di carburante per uso agricolo", che gode di agevolazioni fiscali particolari, venivano vendute "a soggetti che poi lo immettevano nel normale mercato per autotrazione, assai spesso utilizzando le cosiddette 'pompe bianche'". Tutto era preparato con accortezza: persino in caso di controlli ad un'autobotte l'autista azionava una pompa che erogava un colorante che "allineava il prodotto ai documenti esibiti". Durante le indagini, gli investigatori hanno utilizzato "captatori informatici, dispositivi gps e microfoni ambientali": è stato scoperto, secondo le Dda di Potenza e Lecce, un "pactum sceleris" fra una società di commercio di prodotti petroliferi e il clan dei Casalesi per creare un "avamposto" del gruppo mafioso nel Vallo di Diano, in Campania. E' un aspetto dell'inchiesta, quest'ultimo, che ha portato al sequestro di varie aziende che operano nel settore petrolifero, denaro contante, autocisterne, immobili e beni degli indagati per un valore totale di circa 50 milioni di euro. Uno degli imprenditori coinvolti, resosi conto che aveva perso il controllo della sua società, "ormai di fatto in mano" a un clan campano, ha rischiato di scatenare "una vera e propria guerra" (era stato assoldato un killer per uccidere il capo del clan, progetto poi abbandonato), evitata soltanto perché era "mutuo interesse" non provocare "eccessivi allarmi sulle attività illecite portate avanti, estremamente lucrose per entrambi le parti". Durante l'inchiesta è stato scoperto anche un carabiniere "infedele" (riceveva taniche di gasolio che poi rivendeva in cambio di informazioni ai clan), che nel 2019 è stato trasferito dalla Campania ad un incarico "non operativo".

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