Dopo la cocente sconfitta del 25 settembre, Enrico Letta lancia un congresso costituente aperto per per rifondare il Partito democratico. Obiettivo: un nuovo Pd e una nuova leadership, contenuti «forti» e volti «nuovi» per evitare che il tutto si trasformi «in un casting o in una messa in scena staccata dalla realtà».
Il segretario, che non si ricandiderà per la carica, traccia una rotta precisa per il rinnovamento, scadenzandola in quattro fasi. E auspicando, in particolare, un confronto «profondo» su tutti i nodi: dall’identità stessa del partito al profilo programmatico, dal nome al simbolo, fino alle alleanze e all’organizzazione. Il piano del Nazareno per «rimettersi in piedi» e «organizzare un’opposizione seria alla destra» partirà da una «chiamata» alla partecipazione, aperta a tutti coloro che vorranno animare questa missione costituente. A partire dall’esperienza della lista “Italia democratica e progressista” allargata ad Articolo 1, Psi e Demos. Seguirà un dibattito, nei circoli e nelle agorà, sulle «principali questioni da risolvere» e un confronto sulle candidature emerse. Due candidature, selezionate su tutte, saranno poi sottoposte al giudizio degli elettori nell’ultimo, decisivo, step delle primarie.
La proposta così articolata verrà ufficializzata da Enrico Letta nella direzione del 6 ottobre, ma già da ora crea dibattito. Francesco Boccia, responsabile Regioni e Enti locali, guarda al «partito dai nuovi orizzonti, con le nuove generazioni», Roberto Morassut chiede di «dar vita ad una forza politica che nasca dal cuore del Pd e si chiami “Democratici”». A spezzare la catena di applausi, è la senatrice uscente, Monica Cirinnà, secondo la quale «si prospetta una direzione nella quale tutto è già pronto, impacchettato e approvato dalle correnti. In tutta onestà, penso che questo sia un approccio del tutto sbagliato», servirebbe «ascolto, umile analisi e ammissione di responsabilità collettive».
Rosi Bindi parla della sconfitta del centrosinistra sostenendo che viene da lontano: «Non c'è stata condivisione di un progetto politico che unisse ai valori del nostro campo la cultura di governo». L’ex presidente del partito è tra i firmatari di un appello diffuso da venti personalità del mondo cattolico, ex dem, intellettuali considerati vicini al M5S, da Domenico De Masi a Tomaso Montanari. Un documento che punta ad aprire «un nuovo cantiere» e a «essere tutti pronti a mettersi a disposizione, fino allo scioglimento dell’esistente, per costruire un campo progressista». Si chiede, dunque, una «radicale discontinuità sia al Pd sia al M5s».
Di certo, tra i due partiti, prima alleati e poi avversari alle politiche, urge un chiarimento anche in vista delle prossime elezioni nel Lazio, dove attualmente i giallorossi governano insieme. Dal fronte pentastellato un mezzo assist ai dialoganti è arrivato ieri da Chiara Appendino che, pur ribadendo la linea ufficiale sulla dirigenza dem («Non c'è proprio sintonia»), ha evidenziato come in Parlamento «su temi come i diritti si possano fare battaglie comuni».
Per il congresso dei democratici si è candidata l’ex ministro Paola De Micheli e ha fatto capire di essere in campo il sindaco di Pesaro Matteo Ricci. Sta muovendo passi il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, e anche la sua vice, Elly Schlein, è considerata papabile. Come pure il sindaco di Firenze Dario Nardella e il vicesegretario Pd, il siciliano Peppe Provenzano.
Ma c’è un tema che bussa con insistenza alle porte del nuovo congresso: la parità di genere, rivendicata dalle donne dem di tutte le correnti. La capogruppo in Senato Simona Malpezzi guarda a Giorgia Meloni e ammette: «È innegabile che esiste un prima e un dopo il 25 settembre. Di fronte alla prima presidente del Consiglio donna non è più rinviabile riflettere su nuove modalità di costruzione e partecipazione di un percorso comune».
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