Ricomposizione o rottura. A pochi giorni dal voto di fiducia al Senato sul Dl aiuti, è questo il dilemma che attanaglia i Cinquestelle, che valutano concretamente di uscire dall’aula mettendo a verbale il loro «non voto». Un’ipotesi che circola da giorni, confermata anche dal ministro Stefano Patuanelli: «Vediamo, non lo escludo. Bisogna vedere quale sarà il ragionamento politico con Draghi».
A differenza della Camera, dove (votata la fiducia) i pentastellati potranno non approvare senza troppi contraccolpi il solo provvedimento, a Palazzo Madama fiducia e voto finale sono un unicum e dovranno esprimersi una volta e per tutte. Una scelta delicatissima, non indifferente per la tenuta del governo, tanto che una nuova riunione per decidere il da farsi potrebbe tenersi nell’imminenza del voto finale. Che il Movimento per tirare le somme attenda un segnale dal premier Mario Draghi sulle nove priorità illustrate da Giuseppe Conte è cosa nota. Se, quando e in che forma tale segnale arriverà, invece, è materia di dibattito.
Stando alle voci che si rincorrono in ambienti parlamentari, qualche spunto interessante potrebbe emergere dalla riunione del presidente del Consiglio con i sindacati fissata per martedì. Un incontro previsto da tempo, in cui però si dovrebbero cominciare a sviscerare diversi temi di peso, non indifferenti per i Cinquestelle: dai minimi salariali al taglio del cuneo fiscale.
Il governo sarebbe animato da una volontà molto pragmatica di tenere dentro i Cinquestelle, senza frizioni, anche perché - sottolineano gli stessi ambienti - in un momento delicato come questo, tra la guerra, l’inflazione e il Covid che rialza la testa, il Paese non terrebbe una crisi. Chi tifa per un accordo politico che scongiuri lo strappo al Senato (seppur non formale in caso di non voto), vede il bicchiere mezzo pieno, scorgendo già qualche spiraglio di dialogo. Un suggerimento che nelle ultime ore alcuni democratici avrebbero recapitato a Conte è votare la fiducia al Senato, mettendo a verbale con una dichiarazione di voto le contrarietà sui contenuti. In questo modo si eviterebbe il salto nel vuoto. Poi, l’accoglimento delle nove richieste fatte a Draghi potrebbe essere soppesato, più concretamente, nella Nadef di settembre. Tra i pentastellati a Palazzo Madama, dove l’ala critica con il governo è predominante, però il termometro continua a registrare temperature gelide. L’arduo compito di tracciare, eventualmente, una strada diversa spetterà a Conte. E l’inizio della prossima settimana sarà dirimente. Alla schiera dei pontieri, al Pd si è unito anche LeU con la senatrice e capogruppo Loredana De Petris che offre un’importante sponda sul documento consegnato al premier dal suo predecessore: «I punti chiave segnalati dal M5S nella lettera a Draghi non sono bandiere identitarie o bizze. Sono le urgenze effettive di questo Paese. Nodi che vanno affrontati e sciolti».
L'«avvocato del popolo», intanto, rilancia, quasi in contemporanea con Beppe Grillo, uno dei suoi cavalli di battaglia: «Il reddito di cittadinanza non è stato solo un paracadute sociale per molte famiglie nei periodi più bui della crisi pandemica - rivendica -. Ha rappresentato anche una concreta possibilità per molti che, pur stretti dal giogo della fame, hanno potuto sottrarsi al ricatto delle organizzazioni criminali», Per ora, la deadline già fissata dal leader dei Cinquestelle, per delineare il futuro del Movimento, dentro o fuori la maggioranza, è fine mese. Ma i suoi parlamentari saranno chiamati alla prova del fuoco in Senato 15 giorni prima. Di qui il dilemma: come uscirne? Secondo FdI, giovedì a Palazzo Madama «non accadrà nulla. Alla fine il governo andrà avanti più ammaccato di prima». Per Più Europa «le parole di Patuanelli sono pesanti. Conte tira troppo la corda». Se il M5s, come intende fare alla Camera sul provvedimento, uscirà dall’emiciclo anche al Senato, i numeri per la fiducia sono comunque assicurati. Resterebbe, però, un gigantesco nodo politico.
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