ROMA. Dal fallimento del Banco Ambrosiano all'ingresso nell'euro, passando per la svalutazione della lira, l'accordo con le parti sociali del 1993, l'azione di risanamento delle finanze pubbliche.
La lunga esperienza di Carlo Azeglio Ciampi al servizio dell'economia del Paese è un complesso racconto lungo 20 anni, fatto di eventi tragici e conquiste esaltanti, vissute dall'interno dei tre palazzi dove si fa la politica economica a Roma: la Banca d'Italia, Palazzo Chigi e il Tesoro, istituzioni dove ha lasciato un'importante eredità, fatta di lavoro, idee, ma anche uomini, quel gruppo che ormai passa sotto il nome di 'Ciampi boys', tra cui spicca, tanto per fare un nome, l'attuale presidente della Bce Mario Draghi.
Entrato per concorso in Banca d'Italia nel 1946 (prima a Macerata e, dopo 11 anni, a Roma), Ciampi vi restò per ben 47 anni, di cui gli ultimi 14, dal 1979 al 1993, come Governatore.
Furono anni straordinariamente difficili per il Paese e molto impegnativi per chi occupava poltrone come quella: Ciampi arrivò proprio nel pieno della bufera Sindona, pochi mesi dopo l'omicidio di Giorgio Ambrosoli. Di lì a poco sarà subito chiamato a occuparsi del fallimento del Banco Ambrosiano, della cui rinascita su nuove basi fu uno dei protagonisti, insieme all'allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta. E se gli inizi sullo scranno più alto di Palazzo Koch non furono tranquilli, i mesi finali non furono certamente da meno.
Era il settembre del 1992, nel pieno della bufera Tangentopoli, e il governo Amato si preparava a varare la mega-manovra da 93mila miliardi di vecchie lire (con il 'famigerato prelievo forzoso dai conti correnti) forse indispensabile per evitare la bancarotta del Paese. In quelle ore concitate, dopo incontri e telefonate a non finire, Ciampi, Amato, l'allora ministro del Tesoro Piero Barucci, con i direttori generali di Bankitalia Lamberto Dini e di via XX Settembre Mario Draghi, in «completo accordo», come raccontò anni dopo Barucci, ma anche in piena emergenza nazionale, decisero per la svalutazione.
Per tutti la decisione fu dolorosa, ma come ebbe a spiegare Ciampi molti anni dopo, anche «saggia», perchè segnò l'avvio del risanamento economico dell'Italia che avrebbe portato, 10 anni dopo, all'ingresso nell'euro fin dall'inizio, un traguardo al quale in pochissimi credevano. Ma proprio pochi mesi dopo quel drammatico evento Ciampi venne chiamato a una nuova sfida e a una sorta di seconda vita: la formazione di un governo di transizione, per la prima volta nella storia affidato a un non parlamentare.
Ciampi, che rimase a palazzo Chigi fino al maggio del 1994, lasciò il segno soprattutto per l'avvio della concertazione, con l'accordo con le parti sociali del 1993 sulla politica dei redditi e dell'occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo: e in quel periodo intenso fu anche il lavoro per la privatizzazione delle grandi banche.
Dopo la breve parentesi alla Bri, l'ex governatore fu 'richiamato" in servizio dai governi Prodi e D'Alema, tra il 1996 e il 1999, come ministro del Tesoro. Ed è in questa veste che riuscì decisamente a riparare quella sorta di «onta» che per il Paese fu la svalutazione della moneta. «L'Italia di certo non potrà entrare nell'euro dall'inizio»: lo scetticismo di Theo Weigel, all'epoca ministro delle Finanze tedesco, era assai diffuso sui mercati internazionali.
Ma proprio l'euro era l'ultima sfida che Ciampi voleva a tutti i costi vincere e ci riuscì: nel giro di nemmeno dieci anni, anche grazie all'eurotassa, il deficit scese da oltre il 10% al 2,7%, vale a dire addirittura al di sotto della soglia massima consentita dal Trattato di Maastricht: «Mi sono sempre definito un cittadino europeo nato in terra d'Italia: da oggi mi sento veramente tale», commentò soddisfatto quel primo gennaio del 1999, quando la moneta unica nacque ufficialmente.
Un successo non da poco per uno che, come raccontò lui stesso nell'autobiografia scritta con Arrigo Levi 'Da Livorno al Quirinalè, voleva solo insegnare latino e greco al liceo.
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