LONDRA. Ucciso da Mark David Chapman, a New York, di fronte al Dakota Building, moriva 35 anni fa John Lennon. Una morte improvvisa due mesi dopo il suo quarantesimo compleanno e poche settimane dopo l'uscita di "Double Fantasy", l'album del suo ritorno al lavoro, dopo il periodo dedicato a fare il papà per il suo secondo figlio Sean.
Dopo aver lasciato i Beatles, John Lennon, insieme a Yoko Ono, è diventato un'icona vivente del pacifismo, una scelta che gli è costata l'ostilità dell'amministrazione Nixon che lo fece spiare dall'FBI (ma anche i servizi inglesi si sono occupati di lui) e ha tentato di espellerlo dagli Stati Uniti. Il processo grazie al quale riuscì a ottenere, dopo anni, la Green Card, il documento che permette a un cittadino straniero di abitare negli Stati Uniti, ha fatto epoca. Un genio della musica, colpevole di schierarsi contro la guerra del Vietnam, il Sud Africa dell'apartheid, di frequentare gente come Jerry Rubin, era considerato un potenziale pericolo, un uomo da espellere (ma non tutti i suoi dischi soliti all'epoca della loro pubblicazione furono trattati bene dalla critica). Perfino l'ex Beatle ha rischiato di pagare per le proprie idee. Dopo che un concerto rock è stato trasformato in una strage, ci sarebbe bisogno di una figura come John Lennon, un uomo capace di parlare al mondo, di usare un linguaggio universale, di fare della musica un formidabile strumento di pace. Nel mondo, compreso all'Avana, esistono statue e giardini dedicati a John Lennon: sarà difficile per chi si radunerà in questi posti il prossimo otto dicembre, non pensare al Bataclan. E ancora più difficile sarà non pregare per un mondo che somigli a quello cantato da "Imagine".
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