Con il suo brano dedicato allo zio «Turi» che sconta l’ergastolo come uno dei protagonisti della guerra di mafia di Catania, Niko Pandetta ha ottenuto su YouTube 4 milioni di visualizzazioni e decine di migliaia di like. Ma è solo uno dei tanti neomelodici di terza generazione che riempiono le piazze con i loro racconti di gesta epiche di capimafia, tradimenti, storie di latitanti, disprezzo per pentiti «senza dignità», odio per «sbirri» e confidenti. Questo è ormai il repertorio di tanti giovani cantanti acclamati e contesi nelle feste di quartiere. E questa è «La mafia che canta», come dice il titolo di un libro di Calogero Ferrara e Francesco Petruzzella. Ferrara è stato componente della Dda di Palermo e ora è procuratore europeo delegato. Petruzzella è analista informatico della Procura di Palermo e studioso dei fenomeni criminali di tipo mafioso. Nella prefazione Dino Petralia, capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, richiama un sistema in mano ai boss di quartiere. Sono loro a gestire l’organizzazione dell’evento canoro: «Dalla scelta al reclutamento e al successo dell’esibizione del cantante tutto ruota attorno ai gusti e al gradimento di chi comanda la zona» e ne ricava un credito mafioso. I testi dei brani sono un inno alle figure più conosciute, e rispettate, dell’universo mafioso e camorristico. Basta per tutti un titolo, «O rre di Corleone», chiaramente dedicato a Totò Riina. Per tanto tempo queste melodie hanno portato in piazza il legame simbolico con gli eroi tragici della mafia e della camorra e con gli «ospiti dello Stato» presentati come perseguitati da un sistema ingiusto e repressivo. Da qualche tempo i questori hanno cominciato a vietare gli spettacoli ma questo non basta a smantellare il sistema di valori che la musica cerca onorare. Il libro diventa così un viaggio alla scoperta di un mondo che riesce a provocare un cambio di mentalità e la rottura delle norme sociali per legittimare la violenza e la criminalità organizzata.