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Inarrestabile Vasco Rossi, allo stadio Olimpico è sold out: le foto del concerto

Di soddisfazioni ne ha avute, come il record mondiale di spettatori paganti in un singolo concerto, il Modena Park 2017. Ma Vasco Rossi non si ferma: con il «Non stop live», il 33esimo tour dei suoi 41 anni di carriera, continua a raccogliere folle di fan e a far risuonare chitarre e emozioni. Dopo la «zero» a Lignano e le prime date a Torino e Padova, il rocker di Zocca torna a Roma. Il pubblico che riempie lo Stadio Olimpico, dove si moltiplicano fasce e t-shirt dedicate al cantautore, occhiali da sole e berretti militari, si lascia andare a un grido corale quando le luci si spengono per l’arrivo sul palco del «Blasco», nella prima delle due date sold out nella capitale.

Il rocker è energico come da ragazzo. «Conta sì il denaro altro che no!», ma il successo non sembra averlo mai scalfito: "Cosa succede in città» è il primo pezzo di una ventina in scaletta, senza contare i due bis con chiusura con Alba Chiara. Nel tour 2018 negli stadi italiani (Bari e Messina saranno le prossime date, che hanno già registrato il tutto esaurito), Vasco Rossi porta la sua storia, il rock e il romanticismo che hanno accompagnato alcuni dei momenti più importanti della vita dei suoi fan e hanno lasciato un segno anche nella memoria collettiva. «Deviazioni» dall’album Bollicine, degli anni Ottanta, il singolo «Blasco Rossi», per poi fare un salto negli anni Duemila con «E adesso che tocca a me» e «Come nelle favole», e tornare a uno dei suoi più grandi successi, «Fegato, fegato spappolato», del suo secondo album Non siamo mica gli americani!, con all’interno una citazione dei Metallica.

E a metà concerto, la dedica al primo album, Ma cosa vuoi che sia una canzone, con «Ciao» al pianoforte, mai eseguito prima, e un omaggio musicale a Ennio Morricone e a Stanley Kubrick. Tutto questo su un palco gigantesco, largo 70 metri e profondo quasi venti. Dal '77 ad oggi Vasco Rossi ha raccontato in musica l'Italia e, in particolare, la provincia: la genuinità dei rapporti, la quotidianità nel quartiere, le bravate giovanili, il perbenismo piccolo-borghese e la generazione degli "sconvolti", i sentimenti e le riflessioni profonde sull'io. Ha raccontato, con irruenza e tenerezza, la fragilità dell’essere umano e l’imprevedibilità degli eventi, scardinando la facciata del «va tutto bene», del «siamo tutti forti e felici», che per certi versi negli ultimi anni, complice forse la comunicazione tramite social, è tornata in auge.

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