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Ai Weiwei, quando la lotta per la libertà ispira la creatività - Foto

FIRENZE. Artista, certo.

Ma anche architetto, blogger, politico, combattente, dissidente, ribelle, divo e provocatore.

Ma forse, più d’ogni altra cosa, attivista per i diritti umani.

Ai Weiwei sfugge alle definizioni ma, paradossalmente, le incarna tutte. E Firenze, fino al 22 gennaio, gli rende omaggio a Palazzo Strozzi con Ai Weiwei.

Libero, una retrospettiva sui trent’anni di carriera dell’artista cinese di Pechino, diventata un caso ancor prima dell’inaugurazione. Colpa (anzi, merito), dei 22 gommoni rossi utilizzati come nuove cornici (il titolo è, infatti, Reframe) delle bifore del secondo piano dell’edificio rinascimentale.

Oltraggio a uno dei simboli della città o esaltante novità dalla valenza politica? Qualunque sia la risposta, Reframe è opera pensata apposta per Palazzo Strozzi che intende esaltare l’arco acuto delle tipiche aperture rinascimentali tenendo a mente, però, che quei gommoni sono i mezzi di (s)fortuna usati dai migranti per arrivare in Europa, fuggendo da realtà di guerre devastanti. Il titolo della mostra al nome e cognome aggiunge l’aggettivo «libero»: riferimento all’arresto di Weiwei del 2011 per aver parlato apertamente dell’ingiustizia e corruzione regnante nel suo Paese (ma è stato accusato anche di frode fiscale, bigamia e diffusione di materiale pornografico via web).

Le conseguenze? Ottantuno giorni in una cella di massima sicurezza senza finestre, guardato a vista da due guardie e la restituzione del passaporto (ritiratogli nei quattro anni successivi all’arresto) nel 2015, un evento che l’artista ha trasformato in un artistico e famoso selfie.

Weiwei, artista neorealista del terzo millennio, in fondo, non l’ha mai nascosto: «Non separo mai la mia arte dalle altre mie attività.

C’è un impatto politico nelle mie opere e non smetto d’essere artista quando mi occupo di diritti umani: tutto è arte, tutto è politica».

E così ha sempre fatto. Come a Berlino, lo scorso febbraio, quando ha presentato l’installazione «provocatrice» (omaggio a migranti e rifugiati), simile a quella fiorentina: all’esterno della Konzerthaus, una delle sale da concerto più note della capitale tedesca, ha appeso quattordicimila giubbotti salvagente arancioni raccolti sull’isola di Lesbo (avamposto di polizia umanitaria per differenziare l’accoglienza tra rifugiati e migranti economici), in modo da ricoprire le sei colonne d’ingresso, da terra fino alla sommità: choc visuale o pura arte concettuale?

Anche alla mostra della Royal Academy of Arts a Londra, nel 2015 (cui ha potuto partecipare perché tornato in possesso del passaporto ritiratogli dalle autorità cinesi) ha sbalordito grazie alla realizzazione di tremila piccoli granchi (la parola è sinonimo di armonia ma indica anche la censura su internet) o il voluminoso lampadario fatto con le biciclette, simbolo di «cinesità» per eccellenza.

Ecco, allora, oltre ai gommoni esterni, sessanta opere che, nello splendore delle sale di Palazzo Strozzi, ci ricordano i fatti più drammatici di tutte le latitudini, successi o commessi.

Come, ad esempio, Snake, il lungo serpente a muro fatto di zainetti per commemorare gli oltre cinquemila bambini morti nelle venti scuole crollate nel terremoto del 2008 in Sichuan. Cui è dedicata anche Rebar and case (tondino e cassa), installazione costituita da contenitori in legno con riproduzioni in marmo bianco dei tondini in ferro rinvenuti contorti tra le macerie del terremoto. O Re - fraction (nel centro del cortile di Palazzo Strozzi), una gigantesca ala metallica fatta di pannelli solari, immobile per le oltre cinque tonnellate di peso: opera emblematica della negazione di tutte le libertà.

Ma c’è posto pure per i ritratti dei dissidenti fatti coi mattoncini Lego. Non legati all’attualità ma alla storia italiana ecco Dante Alighieri, Galileo Galilei e anche il padrone di casa, Filippo Strozzi. Incontrare l’arte readymade di Ai Weiwei significa subire l’incanto di vivere in un mondo parallelo dove storia, mitologia cinese, fantasia e attualità si stringono in un unico, grande abbraccio sapendo che «l’arte non avrà nessun tipo di futuro se non riuscirà ad adattarsi alla tecnologia e alla vita di oggi».

Twitter e Instagram inclusi, parte essenziale d’una rivoluzione esistenziale («sono stati per noi in Cina la liberazione dal passato, lo spazio della democrazia»).

Parola dell’artista-politico Ai Weiwei, esperto comunicatore globale, che del socially correct ha fatto la sua bandiera. emblematica della negazione di tutte le libertà.

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