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L'Emilia Romagna come una terra «bombardata»: ecco i numeri del disastro

Vista dall’alto l’Emilia-Romagna «sembra bombardata». Irene Priolo, vicepresidente della Regione con delega alla protezione civile che da giorni coordina i soccorsi, usa questa immagine per provare a descrivere quello che è accaduto. I numeri sono spaventosi: circa cento i Comuni coinvolti, il triplo rispetto al terremoto del 2012; oltre 36 mila persone costrette a lasciare la propria casa e trovare alloggio o da amici e parenti o nei centri d’accoglienza. E nelle prossime ore nelle aree colpite dall’alluvione arriverà la presidente del consiglio Giorgia Meloni, che ha deciso di anticipare il suo rientro dal Giappone dove era impegnata nel G7.

Le strade chiuse sono circa 500, mentre sono 305 le frane censite. Gli allagamenti sono diventati quasi impossibili da contare. Praticamente tutta l’area che va da Bologna al mare è stata colpita: metà, quella in pianura, e finita sott'acqua, l'altra metà, quella in collina e montagna, è funestata dalle frane. L’allerta rossa rimane attiva anche per domani: dovrebbe essere l’ultimo giorno di pioggia e dal pomeriggio è atteso il sole. Le piene dei fiumi sono in esaurimento, ma rimane altissimo il rischio di frane. L’alluvione infatti, si è spostata verso est: dopo aver messo in ginocchio Forlì, Cesena e Faenza, la criticità si è spostata a Ravenna. Qui non ci sono state esondazioni di fiumi importanti, ma tutta l’acqua caduta sul terreno e che ha ingrossato i fiumi è defluita verso il mare, andando peraltro a far gonfiare la fitta rete di canali che in molti casi non hanno retto. Ravenna è stata interessata da una specie di tsunami al contrario e al rallentatore che ha allagato una larga fetta della periferia della città e del vastissimo territorio comunale.

Per ore si è temuto che l’acqua invadesse il centro della città: sarebbe stato un disastro incalcolabile, sia perché è la zona più densamente abitata, sia perché custodisce i capolavori dell’arte bizantina patrimonio Unesco. Il pericolo sembra, al momento, scongiurato: grazie agli argini costruiti anche sulle strade ma grazie soprattutto ad alcune opere idrauliche costruite nel corso dei secoli. Primo fra tutti il Cavo napoleonico, un canale progettato a inizio '800 e costruito negli anni Cinquanta, che ha portato una grandissima quantità d’acqua dal Reno (i cui affluenti sono quasi tutti esondati) nel Po in secca da mesi. Il Canale Emiliano-Romagnolo, costruito per portare acqua ai campi è stato fatto andare all’incontrario, per portarla via.

L’attenzione, in ogni caso, resta altissima perché il pericolo non è ancora scampato. Come resta altissima in buona parte della provincia, a Lavezzola ad esempio, paese che è stato evacuato per timore di un nuovo allagamento, o in alcuni paesi dell’Appennino che, da giorni, sono di fatto tagliati fuori dal resto del mondo. Anche se, con i soccorsi ancora attivi, il bilancio delle vittime non può dirsi definitivo, non sono stati trovati altri corpi. Il numero dei morti rimane dunque fermo a 14.

E nella tarda mattinata si è sfiorata una nuova tragedia: un elicottero privato che volava per conto dell’Enel per cercare di risolvere la situazione delle migliaia di persone che sono ancora senza corrente elettrica e che stava tentando un atterraggio di emergenza, è caduto a Belricetto di Lugo, in provincia di Ravenna. Si è temuto il peggio, ma non ci sono state vittime: quattro persone sono rimaste ferite, portate via in eliambulanza. Nelle zone dove l’acqua si comincia a ritirare si continua a spalare fango e a cercare di salvare quello che si può salvare. Spesso sotto la pioggia, sperando che, a partire da domani, lo si possa fare almeno sotto il sole. Tantissimi i volontari, soprattutto giovani e giovanissimi, che si sono autonomamente diretti verso le città e i paesi che sono finiti sott'acqua. Sono loro il simbolo di speranza di città e paesi che vogliono ritornare alla normalità e ripartire.

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