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Marmolada, paziente zero del clima che cambia: quel che resterà dei ghiacciai

Il crollo del seracco sul ghiacciaio della Marmolada è il termometro di quanto sta avvenendo negli ultimi anni su tutte le vette alpine, colpite da un aumento delle temperature addirittura doppio rispetto alla media del surriscaldamento globale. La Marmolada, in questo senso, può essere considerata il «paziente zero» di un fenomeno diffuso su tutto l’arco alpino, con un’incidenza diversa in relazione alla posizione e, soprattutto, all’esposizione del ghiacciaio.

Questa è la diagnosi del malato, per quanto invece riguarda le cure ci sono diverse al vaglio degli esperti, che però si dicono pessimisti sulla capacità effettiva di invertire un processo che, nel giro di qualche decennio, porterà alla scomparsa di buona parte delle masse glaciali in alta quota. «Il ghiacciaio della Marmolada, così come lo conosciamo ora, scomparirà nell’arco di 20 o 30 anni. Rimarranno delle placche di ghiaccio separate tra loro al riparo dall’irraggiamento solare e dai flussi di aria calda. Già da tempo riscontriamo un fenomeno globale di frammentazione del ghiaccio in diversi settori. Quello che ha interessato il crollo, tra l’altro, era già una parte separata», spiega il glaciologo del Museo della scienza Muse di Trento, Christian Casarotto, parlando di una tendenza all’arretramento dei ghiacci che si registra su tutte le vette alpine.

Nel 2022 la situazione risulta particolarmente critica, date le scarse precipitazioni nevoso dell’ultimo inverno e le temperature particolarmente calde. «Quest’anno è eccezionale per le poche precipitazioni e per il caldo, che ci fa registrare da uno a due mesi di anticipo rispetto alla normale fusione della copertura di manto nevoso e del ghiaccio in quota», afferma il climatologo dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente della Provincia di Trento (Appa), Roberto Barbiero. A detta del direttore dell’Ufficio di glaciologia della Provincia di Bolzano, Roberto Dinale, ogni anno si registrano «arretramenti medi dell’ordine di 30 metri e perdite di massa di circa un metro di spessore» sui ghiacciai delle Alpi orientali. La diminuzione della superficie occupata dal 2005 è pari al 20%.

Considerato l’andamento delle temperature, gli esperti si dicono pessimisti sulla possibilità di salvare il paziente, ovvero i ghiacci in quota, in particolare modo sulle Alpi orientali. «Anche dimostrandoci particolarmente virtuosi sulle emissioni climalteranti - prosegue Casarotto - stimiamo la perdita dei ghiacciai sulle Alpi orientali al di sotto dei 3.500 metri tra il 2070 e la fine del secolo. Il problema è globale e bisogna intervenire a livello globale, riducendo da subito i gas serra». Una delle misure attuate a livello locale per evitare lo scioglimento dei ghiacciai è la copertura con i teli geotessili di ampie porzioni in quota. L’utilità dell’intervento, tuttavia, è controversa. «È scientificamente provato che vi è un effetto positivo su ghiacciai di piccole dimensioni e fortemente antropizzati, come per i ghiacciaio Presena. Anche sulla Marmolada vengono posti dei teli durante l’estate, ma solo sul settore orientale, allo scopo di preservare il manto nevoso invernale», conclude Casarotto.

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