Giovedì 19 Settembre 2024

Pugilato ancora fra le polemiche: la bulgara Staneva perde con la taiwanese intersex e fa il segno della X, il cromosoma donna

«Nessuno ha intenzione di tornare indietro, fino ai giorni dei test ai genitali». Se la battaglia politica mondiale attorno al caso delle pugili intersex non si placa, con le battute di Trump dagli Stati Uniti («Carini ha combattuto contro un bravo pugile uomo che ha fatto la transizione») e l’intervento del presidente algerino Tebboune dall’altra («brava Khelif, hai onorato tutte le donne»), sale la temperatura dello scontro tra il Cio e la federazione mondiale della boxe. «Se avete visto il video del presidente Iba - ha tuonato il portavoce del comitato olimpico, Mark Adams, senza citare il russo Kremlev - penso che sarete choccati come me». Sul ring è salita oggi, 4 agosto, anche l’altra atleta al centro delle polemiche, la taiwanese Lin, e ha battuto la bulgara Svetlana Staneva. Tre round e vittoria ai punti, poi una stretta di mano fugace e la contestazione della sconfitta: Staneva (nella foto) ha fatto il segno X, il cromosoma donna, verso il pubblico prima di scendere dal ring. E subito l’immagine è diventata virale. «Per i social è tutto bianco o nero - ha aggiunto un Adams insolitamente feroce, nel punto stampa del giorno -. Qui parliamo di privacy e di diritti umani. E quelli sono un po’ più ampi di 140 caratteri...». «So di avere tutta Taiwan alle mie spalle», si è limitata a dire Lin, mentre l’allenatore dell’avversaria, Borislav Georgiev, ha riacceso il fuoco: «Non sono un medico, ma se un test dice che ha il cromosoma Y non poteva combattere. E poi avete visto, è sfuggita al combattimento quasi sempre. Evidentemente era scritto che vincesse ai punti». Al di là delle dispute verbali, c’è però una questione centrale. Al Cio, rimproverano alcuni media internazionali, era arrivata da giugno una lettera dell’Iba con i dati dei test «accusatori». «Quei test non sono validi, non sono legittimi, non sono leciti...», la dura accusa del Cio. «Sono contrari ai diritti umani. Sono test fatti a campionati in corso, da un momento all’altro, in modo arbitrario. Quelle atlete gareggiavano da sei anni, vi siete chiesti perché siano state prese di mira proprio allora?». Quel che il Cio non ha chiarito è se quella definizione di «illecito» sia riferito alle procedure o ai test genetici in sé, che ai Giochi non sono ammessi per il gender. «Sappiamo che questo è un campo minato: ma anche Human rights watch ha chiarito che le atlete in questione sono donne e possono gareggiare. Se poi vogliamo approfondire il tema di regolamenti uniformi per tutti gli sport, e tra sport e Olimpiadi, allora il Cio è disponibile ad ascoltare punti di vista scientifici sull’argomento». Domani, intanto, Imane Khelif torna sul ring e combatte per andare in finale per l’oro. Appuntamento alle 22.34, l’avversaria è la thailandese Suwannapheng. Il bordoring si preannuncia gremito. Ieri Imane Khelif ha battuto l’ungherese Anna Luca Hamori in un match durato tre round, conquistando la semifinale e dando così al suo Paese la sicurezza della prima medaglia di questa Olimpiade. Ieri i pugni li ha presi anche lei.

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