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Wimbledon, Anderson in finale dopo una "maratona" con Isner

Kevin Anderson

Un match infinito, da record per numeri e durata, consegna a Kevin Anderson la seconda finale Slam della sua carriera: al termine di una maratona tennistica il sudafricano ha sperato a Wimbledon l’americano John Isner.
Erano scesi in campo quando gli ultimi spettatori del Centrale non avevano ancora finito di mangiare le fragole con panna, come d’obbligo dopo ogni pranzo consumato dentro l’All England Club. Hanno terminato solo al calare della notte, al termine di un pomeriggio estenuante di tennis brutale, per potenza e risolutezza (76(6) 67(5) 67(9) 64 26-24). Di pura forza, tra due battitori formidabili nei due colpi che sull'erba - anche su quella rallentata dei Championships - fanno ancora la differenza: servizio e risposta.

Trasformando la semifinale dei Championships in una prova di resilienza, a colpi di ace (102 complessivamente, 53 a 49 per il l’americano) e tie-break (tre, 2-1 per Isner). Una maratona tennistica che ha frantumato il precedente record di durata (per una semifinale). Quello fino a ieri detenuto dalla sfida di Novak Djokovic contro Martin Del Potro nel 2013 (appena 4 ore e 44 minut). Durato ieri sei ore e 40 minuti (secondo match in assoluto più lungo a Wimbledon), chiuso con l’incredibile parziale 26-24 al quinto set: un set durato da solo due ore e 55 minuti (quanto, in media, una partita di medio-lunga durata). E deciso da un break arrivato al 49esimo gioco. Messo a segno da Anderson, il primo sudafricano, 87 anni dopo Brian Norton, a raggiungere la finale all’All England Club.

Dopo aver eliminato il re Roger Federer al termine di un’altra maratona di cinque set, Anderson si è ripetuto contro Isner. Già protagonista, l’americano, di un’altra sfida interminabile nel 2010, la più lunga di sempre del tennis, quella contro Nicolas Mahut (durata 11 ore e 5 minuti, con lo storico 70-68). E vinta appunto da Isner, che ieri invece ha dovuto alzare bandiera bianca. L’ultimo strappo è stato del 32enne di Johannesburg, che così raggiunge la seconda finale in un Major, dopo quella raggiunta nel settembre scorso agli US Open. «Arrivati a questo punto entrambi meritavamo di andare in finale - con grande fair-play ha commentato Anderson -. Ma nel tennis non esiste la parità. In questo momento sono forse più stremato che felice, ma ho un giorno intero per riposare. Spero domenica di giocare bene come oggi».

Dall’introduzione del tie break (avvenuta proprio a Wimbledon, nel 1971 sull'8-8, otto anni dopo sceso al 6-6), quella di ieri diventa per numero di game (99) la terza partita più lunga della storia dei Championships: dopo Isner-Mahut del 2010 (183 game), al secondo c'è Gonzales-Pasarell (1969, 112 game).

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