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I 60 anni di Paolo Rossi, per sempre eroe "mondiale"

VICENZA. Di nomi più comuni non ce n'è, ma ha  avuto una carriera da brivido, trascorso sui campi una vita di  piccoli bassi e grandi alti, metafora vivente di un calcio che  non cesserà mai di sorprendere. Pablito, l'eroe del Mundial  spagnolo, fa Sessanta - li compirà il 23 settembre - ma per  tutti resta «Paolo Rossi, un ragazzo come noi»: gli è riuscito  persino il dribbling ad Antonello Venditti che ha poetizzato  quel nome in una sua bellissima canzone. Non si trattava del  centravanti azzurro, ma di uno studente omonimo, il primo morto  negli scontri tra studenti e polizia a Roma, eppure in molti  l'hanno sempre accostato a «El Hombre del Partido» di quel 5  luglio '82, il giorno che gli cambiò la vita. Lui che a 17 anni  voleva essere Kurt Hamrin, e che a 26 divenne Pablito.     Nonostante una carriera 'troppo brevè alle spalle (appena 10  anni in Serie A di cui 2 cancellati dalla vicenda delle  scommesse), la corsa del Signor Rossi alla notorietà e alla  leggenda è costellata da tante serpentine, riuscite o meno:  dall'esplosione nel Vicenza, all'amarezza nei lunghi giorni  della squalifica, dai momenti indimenticabili del Mundial  spagnolo, con i tre gol al Brasile che lo hanno proiettato  nell'epopea del calcio e gli hanno inimicato un popolo intero  (nel 1989, a carriera finita, in Brasile per un torneo di ex  glorie, fu fatto scendere dall'auto da un tassista che lo aveva  riconosciuto), al desiderio di tornare a essere uno qualunque.

La favola dell'uomo «che ha fatto piangere il Brasile»  inizia al termine di una fantastica stagione con il Lanerossi  Vicenza: il giovane talento di Prato aveva portato la sua  squadra ad un soffio da un leggendario scudetto ed aveva vinto  la classifica cannonieri che gli aveva spalancato anche le porte  della nazionale. Eppure non tutto era filato liscio fino ad  allora: ancora minorenne ma già prospetto di prim'ordine, univa  una tecnica sopraffina ad una velocità palla al piede fuori del  comune, si scontrò i con i primi tackle della vita, a causa di  tre operazioni al menisco. Finisce così al Vicenza e sono  parecchi pronti a scommettere su una carriera già finita ancora  prima di cominciare. La svolta arriva dall'intuizione di Gibì  Fabbri, l'artefice del 'Real' Vicenza, che da ala lo sposta a  centro area per mandare in rete quanti più palloni possibile.  Sono due anni elettrizzanti, con i biancorossi che dominano il  campionato cadetto grazie ai 21 gol di Rossi che si ripete anche  nella stagione successiva, vincendo la classifica cannonieri e  la convocazione al Mondiale argentino.

Non si spalancano,  viceversa, le porte del ritorno alla Juventus. Alle buste, il  presidente Farina lo riscatta per 2,6 miliardi, una cifra record  per l'epoca che lascia tutti sbalorditi, ma che non serve ai  biancorossi per evitare la retrocessione dopo il campionato dei  miracoli.      Tocca al Perugia scommettere su quello che ormai definiscono  un ex talento e che proprio in Umbria resta invischiato nello  scandalo del calcioscommesse. Sfumano gli Europei '80 e in molti  tornano a parlare di carriera finita. Ma il destino aveva ancora  molto in serbo per lui. Scontata la squalifica, Rossi passa  finalmente alla Juve, ma sembra ormai l'ombra del giocatore  ammirato a Vicenza.

Il suo mentore stavolta si chiama Enzo  Bearzot che, nonostante tutto, crede ancora in lui e decide di  portarlo in Spagna, insistendo anche dopo le prime opacissime  prestazioni contro Polonia, Perù e Camerun. Ma i gol e il mito  sono lì, a due passi. Arrivano, uno dopo l'altro, nemmeno  nell'arco di due settimane, dal 29 giugno all'11 luglio:  l'Italia di Bearzot esplode contro l'Argentina, 2-1 con gol di  Tardelli e Cabrini, ma la madre di tutte le partite è al Sarrià:  la tripletta al Brasile di Zico e Socrates diventa epos, il  tabellone luminoso lo proclama «El Hombre del Partido» e in quel  torrido pomeriggio spagnolo Paolo rossi capisce che il  coronamento di una carriera è arrivato prima ancora dell'alloro  finale. Al quale l'Italia arriva con  un'altra sua doppietta  (2-0 alla Polonia) e il primo dei tre gol alla Germania in  finale e della finalissima contro la Germania. Ha vinto  l'Italia, ma il sigillo è di Paolo Rossi, divenuto «Pablito» a  furor di popolo e grazie alla sagace penna di Giorgio Lago. È  un sogno che sembra non finire più: a Natale di quell'anno vinse  il Pallone d'Oro per acclamazione, il secondo italiano dopo  Gianni Rivera.     Gioie e cadute, trionfo e riscatto hanno da sempre  accompagnato il n.20 delle notti Mundial che più dei difensori  avversari ruvidi e fallosi ha sempre temuto di più la popolarità  devastante che lo ha portato via via ad allontanarsi, prima dal  campo e poi dalla ribalta. Il Milan del nuovo corso  berlusconiano prova a dargli una nuova chance ma il biglietto è  di sola andata, prima di fermarsi alla stazione di Verona dove  Pablito giocherà la sua ultima stagione da giocatore. Oggi è  papà felice, commentatore tv. E Pablito per sempre.

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