PECHINO. Pechino e il Nido d'Uccello rimangono il regno di Usain Bolt. Il Lampo giamaicano non può perdere qui dove si rivelò al mondo e cominciò a costruire il proprio mito. Oggi, a sette anni di distanza dall'Olimpiade cinese, torna a salutarlo campione del mondo. Bolt, ancora lui. Vince la gara delle gare di questo mondiale, correndo i 100 in 9.79, un centesimo meno di Justin Gatlin, il cui 9.77 delle semifinali (miglior crono di ammissione alla finale) ha probabilmente contribuito a determinare, ma solo per somma di ansie, il risultato conclusivo.
Il centesimo che ha separato Bolt (9.79) da Gatlin (9.80) è il margine più esiguo tra l'oro e l'argento della storia dei Mondiali di atletica. Il precedente limite era di due centesimi, registrato nella finale di Tokyo 1991 vinta da Carl Lewis in 9.86 su Leroy Burrell (9.88). Oggi doppio bronzo a seguire, assegnato ex-aequo, con 9.92, allo statunitense Trayvon Bromell e al canadese Andre De Grasse. Le ansie di Gatlin, quindi la paura di vincere, sommata a quella di perdere: la prima che dura 80 metri, la seconda che subentra e manda tutto all'aria, nei metri finali. È lì, la chiave di lettura di questa finale, avvincente più per l'attesa creata che per valori tecnici espressi. Gatlin che scappa, e accumula vantaggio; Bolt che costruisce la gara aspettando la fase lanciata, il momento più favorevole alle sue lunghe leve; Gatlin che percepisce la rimonta dell'avversario, e cerca un traguardo che in realtà è ancora lontano. Troppo, per cominciare a proiettare il petto in avanti.
Così Bolt ce la fa, è l'eroe che si conferma (terzo titolo, non consecutivo, dopo quelli di Berlino e Mosca), e fa scattare la festa. Niente lampo o gesto dell'arciere, per celebrare, o almeno, non prima di alcuni minuti, perchè questo Bolt è diverso da quello olimpico del 2008, e sembra voler prendere le distanze anche dalla sua immagine, per tornare a scintillare. Arrivederci a Rio de Janeiro, tra un anno, per quella che sarà probabilmente l'ultima puntata, oltre che la rivincita. Intanto la nuova icona della Giamaica diventa l'atleta più medagliato nella storia dei Mondiali, con ben undici podi (di cui nove ori) distribuiti sull'asse Osaka, Berlino, Daegu, Mosca e Pechino. Assegnati altri tre titoli, nella fresca serata del Bird's Nest. Quello del martello maschile è andato al pronosticato della vigilia, il polacco Pawel Fajdek, già d'oro due anni fa a Mosca, e qui capace di confermarsi sul gradino più alto con due bordate sopra gli 80 metri, la migliore delle quali misurate a 80,88. Troppo per questi avversari, rimasti tutti a due metri (e più) di distanza. Il rappresentante del Tagikistan Nazarov è argento con 78,55 la stessa misura buona per il bronzo, andato (all'ultimo lancio di gara) all'altro polacco Nowicky.
Il trionfo di Jessica Ennis-Hill nell'Eptathlon (6669 punti) è il secondo oro della Gran Bretagna nella rassegna, dopo il successo di Mo Farah nei 10000 di sabato. Ennis-Farah, la coppia d'assi con maglia griffata Union Jack, già capace di far vibrare Londra durante l'Olimpiade, e qui nuovamente al successo in combinata. Argento per la signora Eaton, la canadese Brianne Theisen (6554), terzo posto per la lettone laura Ikauniece-Admidina (con record nazionale di 6516 punti). Il getto del peso ha fatto vivere a lungo un sogno: quello del primo campione del mondo in maglia giamaicana. ÒDayne Richards, capace di una velocità di rotazione in pedana degna di un ballerino, sorprende i big in avvio, con il 21,69 del record nazionale. I sogni svaniscono al quinto turno, quando prima lo statunitense Kovacs (21,93), poi il tedesco Storl (21,74), rispediscono Richards più indietro, anche se comunque sul podio. Evento altrettanto storico.
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