«È con profonda emozione e gratitudine che siamo accolti dal Santo Padre, portando le voci e i volti dei pazienti ematologici, ma anche quella di milioni di famiglie che convivono con una malattia la quale, a volte, può ancora sembrare insormontabile». Lo ha dichiarato Giuseppe Toro, presidente nazionale dell’Ail, che ieri ha guidato la delegazione dell’associazione all’udienza con Papa Francesco.
Il pontefice, aggiunge Toro, «ha più volte ricordato che la sofferenza non è mai solo individuale ma coinvolge tutti; ci interroga e ci chiede di essere testimoni di un amore che si fa prossimità. La nostra associazione da 55 anni sostiene indefessamente chi sta combattendo contro un tumore del sangue, promuove e contribuisce allo sviluppo della ricerca scientifica, affinché nuove terapie e cure possano restituire a chi soffre la speranza di un futuro migliore. Ogni passo che facciamo nella ricerca, ogni persona che possiamo aiutare, ogni sorriso che vediamo su un volto che stava per perdere la speranza, è un segno che la luce della solidarietà non smette mai di brillare. Insieme illuminiamo il futuro».
Secondo Papa Francesco, la malattia «è spesso percepita come una sconfitta, qualcosa da nascondere, eliminare: si scartano i malati in nome dell'efficienza e della forza, si emargina la sofferenza perché fa paura e ostacola i progetti».
Nella sua udienza con l'Ail, Bergoglio ha sottolineato come in alcune culture «si eliminino i malati e questo è brutto. Bisogna rimettere al centro la persona malata, con la sua storia, le sue relazioni, le sue terapie per trovare senso al dolore e dare risposta ai tanti perché».
«Quando tutto sembra perduto, è possibile sperare - ha sottolineato il Pontefice -. La malattia spesso fa precipitare la persona e la sua famiglia nel buio del dolore e dell'angoscia, generando solitudine e chiusura. Si scartano i malati in nome dell'efficienza e della forza, si emargina la sofferenza perché fa paura e ostacola i progetti».
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