Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

La Sicilia delle case vuote: in alcuni paesi arrivano al 70 per cento

Uno studio di Fondazione Openpolis svela la tendenza di un crescente spostamento da territori interni verso città più grandi

È scritto nella storia del cinema, e a volte pure nella realtà: il postino suona sempre due volte. Più incerte, invece, sono le possibilità di risposta al citofono, soprattutto nei piccoli comuni e nelle zone montane della Sicilia, dove, rispetto alle grandi città, la probabilità che qualcuno apra il portone scendono fino al 30%, semplicemente perché il 70% delle abitazioni (e oltre) risultano totalmente disabitate per gran parte dell’anno, se non abbandonate. A dirlo è il nuovo studio della Fondazione Openpolis, che se in tutta Italia registra un 27% di case «non permanentemente occupate», nelle Isole maggiori alza l’asticella a quota 35%, come diretta conseguenza dello spopolamento delle aree interne verso i territori più centrali.

Un movimento, sottolinea la Fondazione, «che incide su numerosi aspetti, uno dei quali la disponibilità di abitazioni. Da un lato, infatti, nelle zone più attrattive ci si trova di fronte a vere e proprie emergenze abitative, data la scarsità di case disponibili, mentre dall’altra, nelle aree più distanti dai poli, ci sono strutture non abitate. Si tratta di temi centrali anche nell’ottica delle amministrazioni: a seconda di quanto le aree sono popolate e del tipo di locazioni presenti, possono predisporre in modo più o meno capillare i servizi, oltre ad ottenere diverse entrate di tipo economico». E se la media siciliana di case sfitte non dovesse bastare, per fotografare la velocità dello spopolamento in atto basta osservare i dati dell’agrigentino, nella top ten delle province italiane più colpite dal fenomeno, al settimo posto con il 48%.

Un tetto che in alcuni paesi arriva oltre il 70%, come nel caso di Novara di Sicilia, al confine con i Nebrodi e, tra i comuni isolani, primo nella speciale classifica con il 75%. Ma non va molto meglio nel Nisseno, con Sutera e Butera che si aggirano tra il 72 e il 70%, o nel Palermitano, dove, rispettivamente a Bompietro (nella foto) e a Santa Cristina Gela, si raggiungono picchi del 68% e del 66%, mentre il trapanese rileva il proprio apice a Poggioreale, con il 63% di case vuote. Insomma, il quadro che emerge è abbastanza chiaro, e di facile intuizione, rimarca il segretario regionale dell’Anci, Mario Emanuele Alvano, «è il suo impatto sul sistema tributario locale e sulla ricchezza dei territori. Un tempo in Sicilia mancava il lavoro ma ci si rifugiava nel mattone. Oggi non c’è il lavoro e gli immobili sono più un peso che una risorsa economica».

In molti paesi, continua Alvano, «il numero di abitazioni supera di tre volte quello degli abitanti: un rapporto che fa comprendere come lo spopolamento sia legato al progressivo impoverimento sociale ed economico, favorito dal quasi generalizzato crollo dei valori immobiliari, mentre le amministrazioni locali fanno ancor più fatica a riscuotere i tributi». Sulla stessa lunghezza d’onda Vincenzo Lapunzina, presidente dell’associazione Zone franche montane: «Il fenomeno della desertificazione delle terre alte siciliane è direttamente legato all’impossibilità di impiantare un progetto di vita nei luoghi natii. Alla mancanza di opportunità lavorative si aggiunge l’assenza di adeguati servizi, sanitari in primis. Ne consegue l’abbandono delle case e il trasferimento verso valle, in altre Regioni o all’estero, che determina anche un appesantimento del costo dei servizi essenziali resi dai comuni, i quali sono costretti a ripartire tasse e canoni idrici tra un numero sempre più esiguo di restanti».

Caricamento commenti

Commenta la notizia