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Sul ruolo di don Calò Vizzini e Lucky Luciano, illazioni e fantasie

Le ricostruzioni che hanno attribuito, senza riscontri, una presenza strategica dei due boss

A ottant’anni dallo sbarco alleato in Sicilia, avvenuto appunto nella notte fra il 9 e 10 luglio del 1943 ma progettato e deciso nella Conferenza di Casablanca nel precedente gennaio, nonostante gli storici abbiano da tempo chiarito i contorni dell’intera operazione continuano ad essere alimentate le illazioni sul ruolo e sulla partecipazione della mafia alla riuscita dell’impresa bellica. Basta per tutte ricordare «In guerra per amore» il film del nostro simpatico Pif per farsene un’idea. È di tutta evidenza che dietro tutte queste illazioni e polemiche varie ci sia stata e continua ad esserci, ed è anche comprensibile facendo mente locale sulla storia del dopoguerra italiano, un pregiudiziale politica che affonda le sue radici in un antiamericanismo diffuso che investe molti settori della sinistra come, anche quelli della destra nostalgica del fascismo. Agli americani la sinistra infatti rimprovera l’essere stati determinanti nella lotta sviluppatisi in Italia nel dopoguerra al comunismo mentre il risentimento della destra nostalgica affonda le sue radici nella responsabilità degli americani di avere sconfitto il regime.

Preso atto di ciò andiamo ai fatti chiedendoci da dove nasca questa leggenda «nera». La fonte principale di questa storia del «complotto» mafioso, come ricorda Salvatore Lupo, sarebbero gli scritti di Michele Pantaleone, un dirigente socialista di Villalba, autore fra l’altro del fortunato pamphlet Mafia e politica 1943-1962 pubblicato da Einaudi. Pantaleone, facendosi prendere la mano dal suo racconto, infarcito dalla narrazione di episodi sufficientemente smentiti da testimoni oculari, riferisce addirittura di un «piano strategico» che sarebbe stato elaborato dal noto capomafia villalbese «don Calogero Vizzini». Al centro di questa storia stava il ruolo del boss italo-americano Lucky Luciano al quale, secondo questa versione fiabesca che lo vede, addirittura, nell’isola nelle giornate precedenti lo sbarco, gli americani si sarebbero rivolti per spianare la strada alle forze alleate. Che Luciano e la mafia siano stati presi in considerazione dalle autorità americane è anche vero, ma è stata una collaborazione legata ad un episodio specifico verificatosi nel territorio americano. Si trattava del controllo del porto di New York per evitare il ripetersi di episodi di sabotaggio, tale fu il 9 febbraio 1942 l’incendio da parte, si disse, di agenti tedeschi del transatlantico Normandie che avrebbe dovuto trasportare truppe americane in Europa. Un aiuto che si dimostrò, peraltro, una truffa ma che fruttò a Luciano lo spostamento dal carcere di Dannemora, un reclusorio di cui avevano orrore anche i criminali più incalliti, in quello più confortevole (?) di Sing Sing, gli storici, con l’eccezione di Carlo Marino, il quale accetta acriticamente la versione Pantaleone, sono concordi nell’affermare che, allo stato della documentazione, la collaborazione di Lucky Luciano con l’amministrazione americana non andò al di là di quell’episodio. L’impegno del grande capo della criminalità organizzata americana per agevolare lo sbarco è dunque una storia poco credibile che non ha trovato alcun riscontro documentario e che, per questo stesso motivo, nessuno storico affidabile, al di là delle appartenenze politiche, ha preso in seria considerazione.

D’altra parte basta fare mente locale sulla forza armata che, per l’attuazione dell’Operazione Husky, venne messo in campo dagli alleati per rendersi conto che gli stessi non avevano bisogno di fare ricorso alla mafia e ai suoi capi. Inoltre, la popolazione siciliana, ferita dai bombardamenti e piegata dalle enormi privazioni a cui era stata sottoposta, aveva da tempo voltato le spalle al regime ed attendeva, come di fatto avvenne, quelli che fino a ieri erano stati considerati nemici, come liberatori. Non è un caso che non si fosse registrato un solo episodio sabotaggio nei confronti dell’esercito italiano e di quello tedesco di stanza in Sicilia che, come è noto, difesero l’isola in modo coraggioso, per tutti basta ricordare l’episodio della battaglia di Catania nel corso della quale gli alleati invasori registrarono migliaia di vittime, e con grande razionalità strategica visto che gestirono in modo encomiabile la ritirata dall’isola. Si può, invece, discutere, sul dopo sbarco, cioè dopo la cacciata delle truppe italo-tedesche ed è, in qualche modo, accettabile la tesi di Nicola Tranfaglia quando riferisce di contatti delle autorità alleate con elementi mafiosi, contatti diciamo noi favoriti anche dalla presenza di siculo-americani fra le forze di occupazione, per «mantenere l’ordine e per controllare adeguatamente la situazione di vuoto e di confusione lasciata dal dissolto regime».

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