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Ligabue rivela: "Nel '99 meditai di lasciare la musica"

Doveva essere festa grande per i 30 anni di carriera di Luciano Ligabue. A partire dal concerto da 100mila persone nella nuova Arena del Campovolo a Reggio Emilia. Tutto fermato dalla pandemia. «Trent'anni che meritavano una festa. Lo meritavo io, e lo meritavano anche tutti quelli che avevano già comprato il biglietto. Quando ci saremo, la voglia di sfogarci e il senso di liberazione andranno oltre la musica. E so già che vivrò stati d’animo tali che il concerto sarà emotivamente insostenibile per me», racconta amareggiato, anzi «sono proprio incazzato».

E allora nell’attesa di una festa che è solo rimandata (al prossimo 19 giugno), non potendo guardare al futuro, il Liga si è fermato. Lui che è sempre andato a testa bassa, che non ha mai preso fiato, che è passato da un disco a un film a un libro di racconto, senza apparente difficoltà, si è trovato immobilizzato. «Se non puoi guardare avanti, guardi indietro. E per la prima volta mi sono soffermato sul passato. L'essere obbligato a stare chiuso in casa ha favorito la voglia di fare musica in studio, visto che non la potevo fare fuori. Non sono stati capace di fermarmi neanche nell’anno in cui avrei dovuto».

E così il rocker di Correggio ha riaperto cassetti chiusi da tempo, ripreso in mano vecchi demo, embrioni di canzoni, spunti di melodie. Li ha smontati, riscritti, ripensati. Il risultato è un album di sette inediti (tra cui il duetto - il primo vero duetto della sua carriera - con Elisa Volente o Nolente), dal titolo 7, un numero ricorrente e da sempre speciale per Ligabue che torna anche nel cofanetto 77+7 che raccoglie i 77 singoli usciti in carriera, uno ogni 5 mesi, più i nuovi. Entrambi i lavori sono in uscita il 4 dicembre per Warner Music Italy. "Sono canzoni nuove, anche se il seme viene dal passato, ma forse per festeggiare è giusto anche così». Perché il Liga di oggi è il Liga che è stato. E si sente in certe sonorità rinnovate che arrivano però da dischi e anni lontani. Ma non è sempre stato rose e fiori. E dato che i festeggiamenti si portano inevitabilmente anche tempo di bilanci, Luciano non si nasconde.

«Sono grato per questi 30 anni intensi di musica e di successi, ma l’intensità si paga e a volte mi sono perso. Nel '99, dopo Buon Compleanno Elvis e Radiofreccia, avevo meditato di smettere: non ero preparato a quella mole di successo e all’isolamento che questo portava con sé, né ero pronto a essere raccontato come non sono». A fermarlo dall’abbandonare tutto è stata la stessa voglia che lo aveva fatto arrivare fin là, quella di stare su un palco, indissolubilmente legata alle emozioni che tutto questo gli dava. «Mi sono detto: se smetti, come fai a non fare concerti? E a 20 anni da quel periodo critico sono ancora qui». A scrivere canzoni «che diano conforto e siano utili».

Anche ora, in una guerra invisibile contro un nemico altrettanto invisibile. "Dobbiamo cercare di proteggerci, ma di non avere paura più di tanto. E sperare che presto ci possa essere la ricostruzione». Una situazione psicologicamente difficile che per contrasto «può portare a un sentimento di speranza. Ed è quello che io sempre cercato di fare con il mio lavoro. E penso ci sia anche in queste sette canzoni nuove. Sono nate in momenti diversi, ma in qualche modo fanno comunque i conti con quello che stiamo vivendo, come Volente e nolente. Del resto le canzoni non risolvono i problemi, ma portano calore e tengono compagnia». Ed è anche per questo, secondo Ligabue, che il futuro dei live non dovrebbe essere in streaming.

«Ho cominciato questo mestiere per l’emozione che mi ha dato salire su un palco scalcinato a 27 anni, davanti a cento persone. Un’emozione che ho cercato di replicare più volte possibile - racconta -. Un concerto vuol dire avere qualcuno davanti che ti rimanda quella stessa emozione, con il suo corpo, con il suo ballare, con il suo stare a tempo. Non può essere ridotto tutto a un corrispettivo in grande di noi in sala prove. Non riesco a pensare a un concerto dentro ad uno schermo. Non sappiamo niente del futuro, ma spero per il bene della musica che i concerti non siano ridotti solo allo streaming perché manca l’elemento essenziale della presenza umana».

Esclude infine la possibilità di andare ospite al Festival di Sanremo, ma non quella di tornare dietro a una macchina da presa. «Ho imparato a smettere di dire non lo farò mai più perché poi mi smentisco. Ma per girare un film devo rinunciare alla musica un anno e mezzo, quindi devo avere motivazioni fortissime. Con Made in Italy c'erano. Magari ci saranno ancora»

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