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Terremoti, uno studio smaschera le faglie più ambigue: analisi anche in Sicilia

Dallo studio di cinque secoli di grandi terremoti in Italia emergono nuovi indizi sulla sismicità del nostro territorio: oltre ad aiutare la ricostruzione degli eventi del passato, permettono di svelare anche le faglie più ambigue che si celano dietro alle scosse più violente come quelle che interessano la zona appenninica o il nord della Sicilia, fornendo indicazioni utili per il futuro. I risultati, frutto di uno studio multidisciplinare durato oltre 30 anni, sono pubblicati sulla rivista 'Tectonophysics' dai ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).

«Il nostro obiettivo è studiare i terremoti del passato per capire meglio cosa ci attende nel futuro», spiega Gianluca Valensise, dirigente di ricerca dell’Ingv e coautore della pubblicazione.

«Nel nostro lavoro siamo partiti dal Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (Cfti), analizzando i dati relativi agli eventi del passato di magnitudo pari o superiore a 5,5. Sono eventi rari - precisa l’esperto - che possono fornire informazioni uniche sulla sismicità del territorio: confrontati con quello che ci dice oggi la geologia, possono aiutarci a individuare faglie ambigue o altrimenti difficili da trovare».

Dall’analisi di cinque secoli di storia sono così emersi i 'corridoi' sismici che attraversano l'Italia, con alcune novità. «Abbiamo per esempio osservato che il sistema di faglie che attraversa da nord a sud l’Appennino alle quote massime nasconde altri corridoi più profondi che si estendono da est a ovest e che possono spiegare eventi anomali o inattesi, come il terremoto di San Giuliano di Puglia nel 2002 o i frequenti sismi registrati nel beneventano», afferma Valensise.

Altri indizi sono emersi anche riguardo ai terremoti che in passato hanno colpito il basso Tirreno e il nord della Sicilia: «Molti sembravano originati dalla terra ferma, ma in realtà abbiamo scoperto che nascono in mare, a 20-30 chilometri dalla costa», dice l’esperto Ingv. Altre conferme riguardano invece la costa adriatica tra Emilia Romagna e Marche. «I dati geologici - prosegue Valensise - ci dicono che c'è un corridoio continuo tra Rimini e Ancona che può generare terremoti per tutta la sua lunghezza. Se consideriamo i dati storici relativi ai terremoti che si sono avuti per esempio a Senigallia nel 1930, a Rimini nel 1916 e ad Ancona nel 1690, vediamo che restano due segmenti del corridoio completamente silenziosi tra Pesaro e Fano, così come avevamo già evidenziato alla fine degli anni Novanta».

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