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Parto "dolce" per 7.300 donne l'anno in Italia, è possibile solo in 3 grandi ospedali: ecco quali

'Un parto alla vecchia maniera', senza farmaci o interventi medici e con rapporto uno a uno tra la donna che partorisce e l’ostetrica. Ma, non per questo, meno sicuro. A realizzare quello che è il sogno di quasi tutte le future madri sono solamente circa 7.300 donne l’anno in Italia, a fronte delle quasi 500.000 che mettono alla luce un figlio. Le nuove Linee di Indirizzo per l’assistenza in autonomia da parte delle ostetriche alle gravidanze a basso rischio ostetrico (BRO), messe a punto dal Ministero della Salute mirano a definire come e quando sia possibile farlo in sicurezza.

Un parto 'dolce', ovvero rispettoso dei tempi della donna e del bimbo è raccomandato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e anche sempre più richiesto dalle donne. Molti punti nascita si stanno adeguando in questo senso, ma ad oggi solo in tre grandi ospedali italiani, e tutti al centro-nord, il parto viene gestito in totale autonomia dalle ostetriche in aree 'ad hoc': l’Ospedale S. Martino di Genova, l'Ospedale S. Anna di Torino, l’Ospedale Careggi di Firenze.

La stragrande maggioranza delle donne, anche quelle che hanno una gravidanza normale, partorisce invece in punti nascita dove il parto è condizionato dalle logiche di un reparto ospedaliero, ovvero tempi stretti e cambi turno. La conseguenza, quando non si finisce a fare un cesareo, è un parto vaginale, laddove per vaginale non si intende, però, né spontaneo né naturale. «In genere, così come viene fatto in ospedale, il parto vaginale può essere fortemente medicalizzato, ovvero, caratterizzato dal ricorso a farmaci, come l’ossitocina, e procedure invasive che mirano a velocizzare la nascita, come l’episiotomia, la ventosa e la manovra kristeller per estrarre il bimbo». A spiegarlo è Maria Vicario, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini della Professione Ostetrica (FNOPO), componente del tavolo di esperti che ha messo a punto il nuovo documento che definisce quali sono i criteri per i quali un parto possa essere affidato in autonomia alle ostetriche in aree dedicate. Tali criteri sono una gravidanza senza complicazioni (come il distacco della placenta), l’assenza di eventuali patologie a carico del feto o della donna (come diabete, gestosi, pressione alta), una gestazione a termine e non gemellare.

Infine, le aree dedicate a questo tipo di assistenza alla nascita devono trovarsi in ambienti separati ma funzionalmente collegati con il Punto nascita tradizionale, in modo da poter gestire eventuali urgenze ed emergenze. Puntare sulla figura dell’ostetrica, conclude l’esperta, «significa assecondare la fisiologia della donna, senza forzarla, favorendo la possibilità di assumere le posizioni preferite per il parto. Ma anche promuovere una continuità assistenziale, per far sì che la futura mamma sia seguita dalle ultime settimane di gestazione, durante tutto il travaglio e nelle prime settimane dopo la nascita, per favorire l'allattamento. Tutto questo dovrebbe essere un diritto, laddove le condizioni sanitarie lo rendono possibile».

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