LONDRA. 'Post verità', ossia quando la verità è una variabile indipendente.
Ci sono voluti il referendum britannico sulla Brexit e la vittoria di Donald Trump alle presidenziali Usa perchè questo neologismo irrompesse finalmente sulle pagine del prestigioso Oxford Dictionary.
Anzi, vi entrasse addirittura come la parola dell'anno.
La scelta - che ogni 12 mesi arricchisce la bibbia della lingua inglese di un termine nuovo, a dare il senso di un idioma e di un mondo che cambiano - è caduta per il 2016 su un'espressione composta: 'post-truth', appunto, in italiano 'post-verità'.
Espressione che descrive l'atteggiamento non solo e non tanto di chi dice il falso, ma di chi considera alla stregua di un optional la differenza tra ciò che è vero e ciò che non lo è: spacciando indifferentemente argomenti sensati o meno - senza darsi pena di consentire una verifica - a seconda dei propri fini e dei propri interessi del momento.
Il concetto è stato richiamato a più riprese nel corso della campagna referendaria per la Brexit, alimentata dalla diffusione di paure e cifre talora palesemente inverosimili.
E ancor più durante la battaglia senza esclusione di colpi che ha permesso oltre Oceano a Trump di sconfiggere Hillary Clinton, in barba all'establishment e alle previsioni, nella corsa alla Casa Bianca. Ora ha fatto breccia anche fra i custodi della lingua che presiedono alla cura dei dizionari di Oxford.
Al punto che l'indicazione della parola dell'anno (non succede sempre) è stata la stessa per l'edizione britannica come per quella americana aggiornata al 2016.
'Post-truth', riporta la Bbc, ha prevalso in una short list finale che comprendeva fra l'altro 'brexiteer' (sostenitore della Brexit).
Si tratta del resto, ha sentenziato Casper Grathwohl, uno dei componenti della commissione oxfordiana, "di una di quelle parole che potrebbero definire il nostro tempo".
Va detto tuttavia che l'espressione non è esattamente contemporanea.
A coniarla, sebbene con un significato un po' diverso, pare sia stato 25 anni orsono lo scrittore e sceneggiatore serbo naturalizzato statunitense Steve Tesich. Una conferma del fatto che in fondo il fenomeno precede l'uso che - nello scandalo della cultura, della politica e dei media mainstream - ne hanno fatto outsider alla Trump o alla Nigel Farage: approfittando, nel mondo virtuale del web, dell'eco planetaria indistinta di social network e affini. Le radici sono forse in concetti d'uso ormai corrente (ma un tempo impensabili) come "guerra umanitaria", "esportazione della democrazia" o "giornalisti embedded": figli d'una neolingua orwelliana a cui la post-verità rende adesso l'ultimo omaggio.
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