ROMA. Ama il mare e il caldo, ma non sono nulla di fronte alle distese sterminate di ghiaccio dell'Antartide e, soprattutto, «non c'è nessun altro posto al mondo dove tutti sono tenuti ad aiutarsi e in cui possano nascere legami forti e bellissime amicizie»: è per questo che Simonetta Montaguti ha deciso di affrontare il suo secondo inverno nel continente bianco, diventando la prima donna a lavorare per due inverni nella base italo-francese Concordia. Nata a Forlì, laureata in ingegneria civile, ha fatto la prima spedizione nel 2006 nella base italiana «Mario Zucchelli», aperta solo in estate e gestita dal programma Nazionale di Ricerche in Antartide (Pnra) del quale fanno parte Enea e Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). La passione per l'Antartide è esplosa allora e non l'ha più abbandonata, tanto che nel 2013 ha deciso di affrontare il suo primo inverno nel continente bianco, lavorando nella base Concordia, gestita dal Pnra e dall'Istituto polare francese «Paul Èmile Victor». Anche questa volta svolge le sue ricerche per l'Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima del Cnr (Cnr-Isac). Con le sue due torri cilindriche sperdute in un vero e proprio deserto bianco, Concordia ricorda da vicino una base spaziale. Lavorare lì in inverno significa uscire due volte al giorno, al buio, a temperature che il 12 giugno scorso hanno toccato meno 81,2 gradi e con un vento forte, che fa percepire il freddo ancora più intensamente. Ma il 'mal d'Antartide' azzera qualsiasi difficoltà: «Quando sei qua ti senti contenta e quando ti allontani vorresti tornare», ha detto. «Ho scelto di ripetere l'esperienza dell'inverno sicuramente per un mio desiderio personale: dopo la prima spedizione del 2006 l'Antartide mi è rimasta nel cuore». Con lei nella base ci sono 11 colleghi, quattro dei quali italiani. L'unica altra donna è la glaciologa francese Nicole Hueber, con la quale Simonetta Montaguti collabora più strettamente nelle ricerche di fisica e chimica dell'atmosfera. «Quando usciamo dobbiamo fare molta attenzione, il laboratori esterni si trovano nel raggio di un chilometro dalla base e ogni volta che usciamo dobbiamo comunicare il nostro percorso». Dopo aver controllato le stazioni meteo, ogni sera deve rilasciare un pallone sonda per rilevare i dati relativi a temperatura, pressione, velocità del vento, umidità e direzione, in modo da confrontarli con quelli registrati a terra. I dati che raccoglie sono preziosi anche per studiare fenomeni globali, come i cambiamenti climatici, l'inquinamento e il buco dell'ozono.