SYDNEY. Con i crescenti livelli di anidride carbonica gli oceani saranno popolati da pesci 'ubriachi', perduti per i mari e a rischio dei predatori. Ricercatori australiani hanno calcolato che l'intossicazione da CO2 detta ipercapnia, l'aumento della concentrazione di anidride carbonica, si impennerà molto prima di quanto finora previsto.
Si tratta della prima analisi globale dell'impatto delle crescenti emissioni di CO2 da combustibili fossili, su variazioni naturali nelle concentrazioni di CO2 negli oceani del mondo. Lo studio guidato dall'oceanografo Ben McNeil dell'University of New South Wales e pubblicato su Nature, indica che dei 'punti caldi' emergeranno già nei prossimi decenni. E se le concentrazioni di CO2 nell'acqua marina continueranno a salire secondo le correnti traiettorie, entro la fine del secolo sarà colpita metà degli oceani del mondo.
L'ipercapnia marina è un fenomeno relativamente recente, essendosi verificato solo negli ultimi sei anni, scrive McNeil. Ed è "molto più preoccupante" del fenomeno collegato dell'acidificazione, perché anche brevi impennate possono dimostrarsi devastanti. Nel caso dei pesci oceanici, alti livelli di CO2 colpiscono i recettori del GABA (acido gamma-amino-butirrico), il principale neurotrasmettitore inibitorio nel cervello vertebrato.
"Il CO2 ha impatto sul cervello, i pesci perdono il senso di orientamento e l'abilità di ritrovare la strada di casa. Non sanno nemmeno dove si trovano i loro predatori". Spiega. Lo studio suggerisce che i risultanti impatti fisiologici e comportamentali potrebbero avere vaste implicazioni per la ricostituzione di popolazioni ittiche, per le strutture sociali e per la funzione dell'ecosistema, quindi per le riserve ittiche del mondo. McNeil sottolinea che l'effetto si verifica solo perché l'uomo aumenta le emissioni di CO2 nell'atmosfera e quindi "l'unica maniera di mitigarlo è di ridurre le emissioni".
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