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Ebola, a due anni dall'epidemia parte il "count down" verso la fine

Il virus ha messo in luce le 'falle' delle istituzioni internazionali nella risposta a questo tipo di emergenze, e anche se l'epidemia sembra avviarsi alla fine gli esperti sono concordi nel dire che non siamo più al sicuro di due anni fa.

Ebola, i medici e i volontari

ROMA. Sono passati due anni da quando, approssimativamente il 6 dicembre del 2013, un bambino in Guinea è divenuto il 'paziente zero' dell'epidemia di Ebola, che ha reclamato le vite di oltre 11mila persone e fatto quasi 30mila casi. Il virus ha messo in luce le 'falle' delle istituzioni internazionali nella risposta a questo tipo di emergenze, e anche se l'epidemia sembra avviarsi alla fine gli esperti sono concordi nel dire che non siamo più al sicuro di due anni fa.

A testimoniare la lentezza della risposta all'epidemia c'è proprio la 'timeline' legata a Ebola, che solo nel marzo successivo è stata ufficialmente riconosciuta, ma che in assenza di misure concrete si è diffusa anche in Sierra Leone e Liberia.

La prima 'sveglia' al mondo è venuta dalle Ong che operavano nella zona colpita, con Medici senza Frontiere che il 30 luglio 2014 dichiarava l'epidemia 'fuori controllo'. Una settimana più tardi, l'8 agosto, anche l'Oms prendeva coscienza del problema, con la definizione ufficiale dell'epidemia come problema di salute pubblica internazionale', e cominciando un lungo lavoro con gli esperti che porterà, ma solo dopo diversi mesi, all'utilizzo di farmaci e vaccini sperimentali 'sul campo', con uno dei vaccini che si rivelerà efficace al 100%. Solo a questo punto la macchina internazionale degli aiuti si è messa davvero in moto, riportando l'epidemia sotto controllo nei primi mesi del 2015. Ora la situazione vede la Sierra Leone 'virus free', la Guinea senza nuovi casi da due settimane mentre la Liberia, che già due volte ha avuto la certificazione di 'Ebola free' dall'Oms, è alle prese con un nuovo focolaio che si è appena concluso facendo ricominciare il conteggio di 42 giorni.

"Proprio quello che successo in Liberia, con il virus che si è ripresentato dopo mesi, ci deve far pensare, insieme a casi come quello dell'infermiera britannica che si è riammalata o agli studi che hanno dimostrato che il virus può resistere nello sperma per diversi mesi - spiega Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'istituto Spallanzani di Roma che oltre a curare gli operatori italiani colpiti ha inviato dei team nell'area -.

Anche se non ci sono casi il virus resta nei 'santuari', non a caso c'è un programma di monitoraggio dell'Oms sui sopravvissuti ed è iniziato un piano di vaccinazione dei partner di chi ha avuto l'infezione".

Uno degli effetti dell'epidemia è stato esporre i problemi nella risposta internazionale soprattutto dell'Oms, dal ritardo nel riconoscere la gravità del problema alla lentezza nel mobilitare risorse economiche e di personale allo scarso coordinamento con gli operatori delle Ong. A puntare il dito contro l'organizzazione sono stati diversi rapporti, l'ultimo dei quali, pubblicato da Lancet ad opera di dieci esperti internazionali, arriva ad affermare che 'il mondo non è più sicuro rispetto a due anni fa'. "L'Oms ha in corso una riforma - sottolinea Ippolito - ma bisogna pensare che le malattie infettive ci sono sempre, pertanto bisogna mantenere attive e finanziate tutte le strutture che se ne occupano, e che garantiscno la risposta diagnostica, clinica, ma anche la capacità di mobilitare il personale. Questo vale per le istituzioni internazionali ma anche per i singoli paesi, a partire dal nostro".

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