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Scoperte le "zone morte" nell'Oceano Atlantico

ROMA. Scoperte per la prima volta in mare aperto delle 'zone morte', nell'oceano Atlantico, al largo delle coste dell'Africa occidentale. Si tratta di aree in cui i livelli di ossigeno sono talmente bassi che la vita è quasi impossibile e in cui riescono a vivere solo alcune specie di microorganismi. A osservarle i ricercatori guidati da Johannes Karstensen, dell'Helmholtz Centre for Ocean Research di Kiel in Germania, il cui lavoro è pubblicato sulla rivista Biogeosciences.

Le zone morte sono aree inospitali per la maggior parte delle specie marine, create dalla circolazione delle correnti e grandi vortici d'acqua che si muovono lentamente verso ovest. Arrivando in prossimità di un'isola, potrebbero provocare l'uccisione di massa di molti pesci. «Prima del nostro studio - spiega Karstensen - si pensava che il mare aperto del Nord Atlantico avesse delle concentrazioni minime di ossigeno di un millimetro di ossigeno dissolto per litro. Una concentrazione molto bassa, ma sufficiente a far sopravvivere i pesci». Ora si è invece scoperto che hanno un livello minimo di ossigeno 20 volte inferiore a quello stimato prima, cioè inadatte per la vita della maggior parte degli animali marini.

Le zone morte sono molto comuni vicino i litorali dove i fiumi sversano fertilizzanti e altre sostanza chimiche nell'oceano, scatenando la crescita di alghe. Quando queste muoiono, cadono sui fondali morali e vengono decomposte dai batteri, che consumano tutto l'ossigeno in questo processo. Le correnti oceaniche possono muovere queste acque con poco ossigeno dalla costa, ma una zona morta che si forma in oceano aperto ancora non era stata scoperta. «I vortici che abbiamo osservato con maggiore dettaglio - continua Karstensen - sono come dei cilindri rotanti di 100-150 km di diametro e un'altezza di diverse centinaia di metri, con la zona morta che occupa i 100 metri più in alto. L'area intorno a questi vortici di zone morte rimane ricca di ossigeno. Abbiamo stimato che il consumo di ossigeno nei vortici - conclude - è 5 volte maggiore che nelle condizioni oceaniche normali».

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