LONDRA. A Londra è una vera e propria invasione di ristoranti italiani. Fino all'anno scorso, tra «real things» e imitazioni, se ne contavano più o meno tremila. Ma soprattutto, in una capitale britannica che non conosce la crisi, dove secondo una statistica la metà dei pasti consumata da ogni cittadino non è cucinata in casa, e dove si spendono cinquanta miliardi di sterline all'anno (oltre 72 miliardi di euro) per mangiare fuori, appare inarrestabile l'uso di prodotti alimentari italiani: non solo in ristoranti gourmet e trattorie in salsa tricolore che ormai nascono come funghi e dove la qualità è alta (così come i prezzi). Ma anche in ristoranti, alcuni pure esotici, che con la cucina italiana non hanno niente a che fare, ma dove è tutto un fiorire di burrate e 'nduje. Perchè la clientela le conosce e le chiede.
«La cucina italiana è la più gettonata qui a Londra. Ed è cambiata radicalmente rispetto a quella che si trovava nel passato: ora i clienti di questa città dalle 300 lingue non si accontentano della vecchia trattoria con le tovaglie a quadri e dove si servivano le 'fettuccine Alfredo', che in Italia nessuno conosce, o la cotoletta alla milanese con accanto gli spaghetti», racconta Stefano Potortì, patron di Sagitter One, la società che con un team di quindici persone è il principale punto di riferimento per chi intenda aprire un ristorante nella capitale britannica, dal bistrò al fast food fino al bacaro
veneziano ed al locale stellato.
Calabrese di quarantadue anni, Potortì è arrivato a Londra quasi dodici anni fa senza parlare neanche una parola di inglese «perchè l'Italia, allora come ora, mi stava stretta», malgrado un lavoro buono lo avesse già grazie ad un master in economia. E dopo quindici anni, alla sua porta bussa chiunque voglia fare un investimento nella ristorazione a Londra, «un mercato inarrestabile, che crescerà almeno per altri cinque anni».
In quasi cinque anni, racconta, ne ha aperti quasi venticinque, e altri quattro saranno pronti ad accogliere i clienti nei prossimi tre mesi, sottolineando che non sono tutti gestiti o finanziati da italiani. Come una pescheria «uguale a quelle che si trovano a Palermo, proprietà di investitori russi». «Londra è una vetrina internazionale. Se un modello qui funziona, lo si replica e lo si esporta immediatamente»: come è stato per Obikà, ad esempio. E come potrebbe essere per la Polenteria, un bistrò fondato da un ex finanziere della City che ora serve a Soho polente di tutti i tipi, apprezzate soprattutto dai celiaci, che ora potrebbe aprire un'altra sede nella capitale britannica visto che funziona.
«Noi - spiega Potortì - ci occupiamo dal business plan fino all'apertura del negozio ed al marketing. Ogni anno mi contattano dall'Italia centocinquanta persone interessate ad aprire a Londra, ma accetto di seguirne al massimo una decina». Perchè qui arriva di tutto, e tutti vogliono aprire un ristorante. Spesso rischiando di finire nelle mani di «falsi esperti», e di perdere tutto: perchè sbagliare investimento qui è facile. E fa male. Ma quanto costa aprire un ristorante oggi al centro di Londra? 200mila sterline (poco meno di 300 mila euro) per una caffetteria, che diventano 500mila per una piccola trattoria, fino a 700mila per un ristorante vero e proprio. E le cose, assicura Potortì, andranno sempre meglio. Perchè ai londinesi la nostra cucina piace. E piace tanto.
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