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Nuova Zelanda, duecento balene spiaggiate, missione impossibile per salvarne la metà

Possibile siano finite fuori rotta - spiega Silvano Riggio, docente di ecologia - per seguire le prede o per un’interferenza sonar

PALERMO. Quasi 200 balene globicefale, o balene pilota, si sono arenate ieri su una spiaggia presso Nelson, nell'Isola del Sud della Nuova Zelanda. E quasi la metà erano già morte al calar della sera, nonostante gli sforzi di circa 80 operatori ambientali e volontari, che hanno cercato di riportare in galleggiamento i cetacei col sopraggiungere dell'alta marea.

I cetacei si sono arenati nella località detta Farewell Spit, nota per i frequenti spiaggiamenti di balene. Dato il gran numero di animali spiaggiati, ci vorranno giorni di duro lavoro e da domani per le operazioni di salvataggio ci vorranno fino a 500 ranger e volontari. Gli spiaggiamenti sono comuni durante l'estate neozelandese, ma le cause rimangono un mistero. Ma è davvero così? Silvano Riggio è docente di ecologia all'Università di Palermo. «Non proprio - dice - ci sono una serie di cause possibili solo che è difficile sceglierne una. Molto più spesso, oltretutto, si tratta di un concorso di tante cause diverse».

Professore Riggio, gli spiaggiamenti singoli, forse, sono più facili da spiegare rispetto a eventi come quello della Nuova Zelanda.

«Certo. Un singolo spiaggiamento può essere provocato anche solo da un incidente, un impatto con una imbarcazione, le ferite provocate da una rete. Quando invece ci troviamo di fronte a episodi che riguardano gruppi anche molto numerosi, il discorso è diverso e diventa molto più complesso».

Ma si può parlare di mistero?

«No, direi di no. Il fatto è che le ipotesi sono molte. Ne sono state individuate da dodici a quindici ma sono tutte relativamente note. Il problema è quello di individuarne una caso per caso. Ma nella consapevolezza che potrebbe anche non trattarsi di una singola causa».

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