Il Natale, il periodo delle feste e oggi anche gli auguri dall'India di Salvatore Girone, diretti fra l' altro 'a tutti i bambini che non possono ricevere calore e affetto dai loro cari lontani' fa ripensare ad un sentimento dolceamaro che torna a visitarci come un ospite più malinconico che inquietante: la nostalgia. La parole deriva da due termini greci (nostos, ritorno, e algos, dolore). Ma chi l'ha usata per primo?
Né Catullo né Foscolo, né Dante né Carducci: a coniare il termine 'nostalgia' è stato, nel 1688, il giovane e brillante Johannes Hofer, neo laureato svizzero che nella sua tesi di laurea usò la parola per descrivere il comportamento dei mercenari svizzeri lontani da casa. A raccontare di nuovo questa storia è la scrittrice e psicologa di Boston Claudia Hammond nel suo recente Il mistero della percezione del tempo. "Piangevano, rifiutavano il cibo - scrive la Hammond - e in casi estremi tentavano il suicidio. Nei due secoli successivi furono proposte varie e bizzarre cause fisiche della nostalgia, tra cui il sangue che andava alla testa quando cambiava la pressione atmosferica e il rumore prodotto dai campanacci al collo delle mnucche alpine, capaci di danneggiare le cellule cerebrali e il timpano. Nel 1938 la nostalgia era ormai marchiata come 'psicosi dell'immigrato'".
Solo successivamente le note dolci prevarranno su quelle amare e la nostalgia diventerà una "sensazione calda e confusa in cui amiamo crogiolarci".
Poeti e registi, artisti e cantanti hanno dedicato alla nostalgia, più o meno direttamente, opere memorabili e la ragione è evidnete: "Esaminando il passato - spiega la Hammond - abbiamo l'impressione di allontanare un futuro in cui siamo consapevoli che cesseremo di esistere". E la nostalgia rende anche più tollerabile il presente.
Caricamento commenti
Commenta la notizia