Come una assurda punizione, da anni, gli cala addosso, improvvisamente, la nebbia oscura della depressione, e non solo la vita, ma anche i ricordi più belli, più teneri, più importanti, ne vengono sommersi, cancellati. Sono i periodi, anche lunghi, in cui Roberto Gervaso viene defraudato di tutto, e allora scompare, incapace di sopportare perfino l'affetto dei familiari. Da quel dolore profondo esce ogni volta, la voglia di vivere che si era allontanata da lui fa marcia indietro, ritorna.
Racconta, lui che si ritiene il massimo conoscitore di depressione, tanto da aver appena pubblicato un libro Ho ucciso il cane nero (Mondadori), con tanto di riferimento a Winston Churchill, inguaribile depresso: «Ho fatto i conti con tre crisi depressive, a 23, 43 e 71 anni. Complessivamente 10 anni di atroci patimenti. Questo libro l'ho scritto di getto, quindici cartelle al giorno per 20 giorni. Volevo fare un bilancio dei miei 77 anni: la mia vita professionale era conosciuta, quella privata no, così ho costruito un'autobiografia scandita da quei tre episodi di disperazione. Sono state esperienze atroci. La prima e la seconda sono durate due anni, l'ultima è stata la più spaventosa, l'ho combattuta per cinque anni. Speravo in un arresto cardiaco. Piangevo a dirotto. Ero uno zombie, invidiavo l'ultimo dei clochard».
Cosa ha capito della mente umana?
«Che la mente umana è vittima del male più oscuro e misterioso che si possa concepire. La depressione è una malattia come le altre ma più brutta, della quale non si conosce nulla, dalla quale non si guarisce in una settimana. Un messaggio, però, voglio lanciarlo: ci vuole pazienza, ma dall'incubo si esce».
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