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Richard Gere si racconta: ho provato cosa vuol dire essere un barbone

L'attore parla del suo nuovo film 'Time Out of Mind': "Le riprese sono stata fatte tutte con le teleobiettivi perchè io mi sono mescolato nella folla e incredibilmente nessuno mi ha riconosciuto"

ROMA. Che Richard Gere fosse buddista lo sanno quasi tutti, che avesse anche voglia di vestire i panni di un homeless, finanziando anche il film, probabilmente solo pochi. Di fatto Richard Gere con 'Time Out of Mind' di Oren Moverman, presentato al Festival di Roma (Cinema d'Oggi) ha mostrato l'una e l'altra cosa. Ovvero sia la sua anima buddista, aperta alla compassione, sia il coraggio di fare un film che non concede nulla allo spettatore. Ovvero il girovagare da parte di un barbone, di cui non si sa nulla, e che ha solo una figlia - Jena Malone (Ritorno a Cold Mountain, Hunger Games - La ragazza di fuoco) - che vede ogni tanto. Un barbone alla ricerca di cibo e di un posto per dormire.

Ora a parte il disagio di vedere il divo di 'Ufficiale e gentiluomo' e 'Pretty Woman' come un loser, cappottaccio e busta di plastica in mano d'ordinanza, il lavoro di Moverman offre solo pochi dialoghi, lunghe scene sulla strada alla ricerca di centri di accoglienza e la speranza di ricucire con una figlia che aveva abbandonato tanti anni prima. «La sceneggiatura mi era arrivata tanti anni prima, dieci anni fa, ma non pensavo che si potesse mai realizzare questo film. Anche per questo - spiega a Roma Richard Gere - conoscevo un po' quel mondo perchè non avevo mai persi il desiderio di fare questo film. Per girarlo ci abbiamo messo solo 21 giorni, un tempo strettissimo. Le riprese sono stata fatte tutte con le teleobiettivi perchè io mi sono mescolato nella
folla e incredibilmente nessuno mi ha riconosciuto».

Il fatto è - aggiunge - «che la gente quando vede un uomo per strada di un certo tipo pensa: questo è un fallito, un senza tetto e evita i contatti pensando forse 'il suo fallimento potrebbe infettarmi'». Anzi a un certo punto Richard Gere rettifica sulla sua invisibilità sul set: «due neri che ho incontrato durante le riprese mi hanno riconosciuto e mi hanno detto ciao Rich, come va? Forse la gente di colore - sottolinea - è più attenta a quello che gli accade intorno. Sono meno chiusi in una capsuletta». La realtà dei barboni è consistente a New York. «Sono circa 60.000 i senza tetto di cui ventimila bambini. È
anche vero che New York è anche l'unico posto dove per legge i barboni hanno diritto all'assistenza, ovvero a un letto e a due pasti garantiti».

Comunque un film del genere, e non poteva essere diversamente, non poteva che contenere un messaggio: «E' quello universale - spiega l'attore - che tutti gli homeless come noi abbiamo tutti un forte desiderio di trovare un posto nel mondo, di trovare la nostra appartenenza, la nostra casa, il nostro pianeta e universo».

Alla domanda cosa pensa di Papa Francesco non risponde: «Non sono cattolico - dice - non sono attrezzato per parlarne» e questo tra lo stupore della Sala Petrassi dove è avvenuto l'incontro stampa. Nel frattempo, nella stessa sala, vola un pipistrello entrato da chissà dove: «Sarà un segno? - dice Gere scherzando - Forse è l'apocalisse. Adesso pioveranno anche le rane».

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