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Coronavirus, Crisanti: "In autunno pronti a focolai grandi e frequenti"

In autunno si verificheranno focolai grandi e frequenti di coronavirus. Lo spiega a "Il Messaggero", Andrea Crisanti, epidemiologo e direttore del laboratorio di virologia e microbiologia dell'università-azienda ospedale di Padova.

Cristanti sottolinea che i focolari "sono normali. Già ad inizio di aprile avevo detto che l'epidemia sarà costellata da tanti focolai e che bisogna avere la capacità di isolarli e controllarli. A questo punto aggiungo che probabilmente a ottobre, novembre saranno sicuramente più frequenti e di dimensioni maggiori" aggiungendo che e "la differenza tra focolai e seconda ondata si basa tutta sulla nostra capacità di reazione, sulla tempestività con la quale vengono identificati e sulle procedure che verranno applicate".

L'epidemiologo sostiene che "un passo nella direzione giusta", è quello di predisporre test e tamponi per i voli in arrivo, ma perché sia efficace serve la giusta "capacità operativa". Inoltre, secondo Crisanti, bisognava organizzarsi in anticipo: "Sarebbe stato meglio, ma sono contento perché sono mesi che sto dicendo che va fatta questa misura. Teoricamente saremmo ancora in tempo, diciamo che siamo all'ultimo momento giusto".

E' "difficile dire" se i rischi siano maggiori per casi autoctoni o importati, "sicuramente il virus circola ancora e a un certo punto si confonde tutto. L'Italia sta in una bolla, il virus ormai sta in tutto il mondo, domenica ci sono stati più di 200mila nuovi casi, siamo in piena pandemia". "

E' stato sottovalutato l'impatto dell'importazione di nuovi casi - osserva - la maggior parte dei focolai sono tutti di importazione e sicuramente non è stato forse valutato a pieno quello che sta succedendo negli altri Paesi come Israele o anche la stessa Spagna".

Sulla possibilità di Trattamento sanitario obbligatorio (Tso) per chi mette a rischio la salute degli altri "esiste soltanto per le malattie psichiatriche, e comunque è un caso estremo. E' una questione molto complessa. E poi se noi prendiamo una persona per fargli un Tso, dobbiamo dargli una cura che funziona. E al momento non esistono terapie efficaci".

"Quindi - conclude - non sarebbe più un Tso, ma una detenzione sanitaria. Sicuramente quella persona va messa nelle condizioni di non trasmettere il virus".

Secondo inoltre il dottor Tom Jefferson, esperto e tutor associato presso il Center for Evidence-Based Medicine (CEBM) dell’Università di Oxford e professore invitato alla Newcastle University, il nuovo coronavirus
esisteva già in tutto il mondo e non solo in Cina dove è scoppiato come un’epidemia nel luogo e nel momento in cui si sono verificate le condizioni più favorevoli.

«Penso che il virus fosse già qui: qui significa ovunque», ipotizza il docente in un’intervista rilasciata al Teleghraph. «Potremmo aver avuto a che fare con un virus dormiente che è stato attivato da condizioni ambientali».

«C'è stato un caso alle Isole Falkland all’inizio di febbraio», osserva Jefferson. «Da dove è arrivato? I passeggeri
a bordo di una nave da crociera in viaggio tra l’arcipelago della Georgia del Sud e Buenos Aires sono stati sottoposti al test e l’ottavo giorno della traversata, quando hanno iniziato a navigare verso il mare di Weddell, hanno registrato il primo caso: il virus si trovava forse nel cibo pronto che è stato scongelato, attivando così l’infezione?».

«Cose strane come questa erano già successe con l’influenza spagnola», ha spiegato il docente universitario. «Nel 1918, circa il 30% della popolazione delle Samoa occidentali morì di influenza spagnola e non avevano avuto alcun contatto con il mondo esterno».

«La spiegazione potrebbe essere che questi agenti patogeni non vengono né vanno da nessuna parte», sottolinea Jefferson. "Sono sempre qui e qualcosa li accende, forse la densità di popolazione umana o le condizioni ambientali. Ed è questo quello che dovremo capire".

L’esperto ha poi ricordato le crescenti prove che il virus si trovasse già altrove prima di emergere in Asia. La scorsa settimana, alcuni virologi spagnoli hanno annunciato la scoperta di tracce del nuovo coronavirus in un campione di acque reflue raccolte a Barcellona nel marzo dello scorso anno, nove mesi prima che la COVID-19 fosse identificata
in Cina. Secondo uno studio pubblicato lo scorso mese dall’Istituto Superiore di Sanità, alcuni campioni di acque reflue prelevati il 18 dicembre a Milano e Torino mostravano tracce del coronavirus, molto prima dei primi casi confermati in Italia.

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