Un decreto firmato senza tanto clamore ha creato un terremoto nei Comuni di mezza Sicilia. E l’effetto pratico è che molti sindaci sono pronti a improvvisi aumenti della Tari per coprire un buco di bilancio frutto di un finanziamento della Regione promesso da due anni e che adesso è stato revocato. Anche se Palazzo d’Orleans ha fatto sapere in serata di stare lavorando a una soluzione di emergenza che eviti i rincari a danno dei cittadini.
Cronaca di ritardi e di un caos burocratico che rende ancora più pesante l’emergenza rifiuti in Sicilia. La premessa è che da un anno e mezzo, da quando la discarica di Lentini ha chiuso, centinaia di Comuni, molti dei quali del Palermitano e del Trapanese e Messinese, sono stati costrutti a spedire i loro rifiuti in Danimarca. Col paradosso che lì vengono smaltiti in un termovalorizzatore (che in Sicilia è allo studio da anni) a un prezzo salatissimo che fa lievitare fino al doppio i costi a carico dei Comuni: passati da circa 200 a 350 o anche 380 euro a tonnellata.
Proprio per calmierare questa spesa extra la Regione aveva stanziato, ai tempi del governo Musumeci, 45 milioni. Forti di quel decreto, tutti i sindaci hanno calato in bilancio il budget promesso dalla Regione. Che però fino a oggi non ha mai realmente erogato gli aiuti.
E così si arriva a mercoledì sera, quando il dirigente generale dell’assessorato, Calogero Giuseppe Burgio, firma un decreto di revoca immediata del finanziamento. Il motivo è molto tecnico e lo spiega il presidente dell’Anci, Paolo Amenta: «Pare che in assessorato si siano accorti che i 45 milioni appartenevano ai fondi Fsc (si tratta di finanziamenti nazionali destinati a progetti di sviluppo, ndr) e quindi non possono essere usati per spesa corrente. Come è quella di coprire l’aumento dei costi di smaltimento dei rifiuti. A questo punto hanno bloccato tutto ma nessuno ci ha detto che ne sarà degli aiuti».
(Nella foto di Alessandro Fucarini una montagna di rifiuti in via Gabriele Vulpi a Palermo)
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