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Formazione professionale in Sicilia, spunta la riforma «fantasma»

Rivolta dei piccoli enti che rischiano di chiudere anche per l’eliminazione del tetto che favorirebbe solo i grandi. L’assessore Turano: ha effetti devastanti

La rivoluzione viaggia in due brevi quanto (all’apparenza) incomprensibili commi inseriti a notte fonda, lunedì, nel maxi emendamento che ha portato la Finanziaria della Regione Siciliana al traguardo. Poche righe che hanno - spiegano gli esperti - il valore di una riforma e che potrebbero spingere la maggior parte degli enti medio-piccoli della Formazione professionale (già in rivolta) a chiudere lasciando il settore alle grandi sigle. Si tratta di norme che hanno scatenato una guerra (post approvazione) anche interna alla maggioranza. Perché la Lega le contesta e minaccia, con l’assessore al ramo, di portare all’Ars misure opposte per salvaguardare il sistema nella sua forma attuale.

Si vedrà. Intanto vanno registrate queste due norme. La prima prevede che venga tolto il tetto massimo che, su ciascun bando che stanzia fondi pubblici, può essere assegnato a ogni ente. Era una misura introdotta qualche anno fa per evitare che i colossi del settore fagocitassero i finanziamenti a danno delle sigle minori. In pratica, in ogni bando fino a oggi la Regione era costretta a inserire una percentuale massima assegnabile a ciascun vincitore in base al budget. Ora questo limite viene tolto del tutto.

Già così sarebbe stata una mannaia per gli enti medio-piccoli, che danno impiego alla maggior parte dei 5 mila dipendenti (fra contratti a tempo pieno e flessibili) del settore. E infatti quando nei giorni scorsi il Giornale di Sicilia ha illustrato la proposta allo studio era scoppiata la rivolta di Cgil, Cisl e Uil che temevano appunto di sacrificare gli enti in cui c’è più personale con contratto nazionale e full time. Ma poi nella notte fra lunedì e martedì è stata inserita nel maxi emendamento una seconda norma (la leggete nella foto accanto) traducibile così: in ogni sede distaccata, e ogni ente ne ha tantissime, vanno assunti a tempo indeterminato un direttore, un tutor, un operatore di segreteria e un operatore ausiliario. Senza queste assunzioni l’ente perderebbe l’accreditamento, cioè il «patentino» per ottenere fondi pubblici.

L’effetto pratico delle norme è poi quello di moltiplicare i dipendenti e dunque i costi anche in centri periferici che normalmente per svolgere corsi assegnati dalla sede centrale utilizzano forme flessibili di assunzione. A quel punto - è l’analisi di enti e sindacati - senza il tetto ai finanziamenti e con l’obbligo di aumentare il personale e dunque le spese solo poche sigle resterebbero sul mercato.

E infatti, letta la norma, ieri tutte le associazioni che raggruppano gli enti medio-piccoli si sono riuniti e hanno deciso di avviare una battaglia politica. Non senza dare una lettura extra-parlamentare delle norme approvate: «Questi due commi - spiega Gabriele Albergoni, che guida l’associazione di gestori dei corsi Cenfop - sono il frutto di una guerra fra enti. E la politica si è prestata ad aiutare chi è già più forte a danno di tutti gli altri. L’effetto combinato delle due norme è quello di distruggere il sistema come lo conosciamo adesso. Non è concepibile che una riforma, perché nei fatti questa è, venga presentata e approvata di notte senza che nessuno ne sappia niente e gli interessati non vengano sentiti preventivamente».

Ieri su questo tema si è svolta una riunione di tutte le associazioni di enti - Cenfop, FormaRe, Forma Sicilia, Afop, Asef e Federterziario - terminata con un appello a Renato Schifani: «Serve un autorevole intervento per abrogare subito queste due norme e salvare un settore che impiega ancora migliaia di persone». Sono 5 mila gli addetti e circa 150 i milioni stanziati ogni anno dalla Regione per i vari corsi.

L’appello al presidente arriva nello stesso giorno in cui l’assessore alla Formazione, il leghista Mimmo Turano, ammette di essere stato preso in contropiede: «Non conoscevo questa norma, che è stata presentata a notte fonda. E dunque non c’è stato il tempo di esaminarla. Non ho difficoltà a dire che avrebbe un effetto devastante. E dunque convocherò subito gli enti per verificare quali margini ci sono per risolvere in fretta l’emergenza». Sullo stesso fronte si è messo un altro leghista, il deputato palermitano Vincenzo Figuccia: «Queste norme vanno modificate e calibrate sull’effettiva sostenibilità. Si torni sulla questione, a bocce ferme, per dare il giusto peso a un comparto, quello della formazione, che troppo spesso, in questi anni ha subito torti non più accettabili. Bisogna intervenire quindi per salvaguardare gli enti e i lavoratori e con loro gli studenti».

La questione sembra celare anche uno scontro tutto interno al centrodestra. Visto che, a taccuini chiusi, in tanti nella Lega indicano in Fratelli d’Italia i padri delle norme contestate.
E nel frattempo i sindacati sono pronti a scendere in piazza a difesa degli enti che impiegano la maggior parte del personale di lungo corso. Per Giuseppe Messina dell’Ugl, «si sono fatti pericolosi passi indietro nel settore formativo anche rispetto al metodo utilizzato, dato che le norme introdotte non sono frutto di un confronto con le parti sociali di categoria ma di una forzatura notturna. Auspico che si torni sulla questione per evitare che il settore della formazione professionale si fermi con un danno diffuso ai circa 5 mila lavoratori r alle migliaia di allievi che si accingono alla riqualificazione». E anche la Uil Scuola con Ninni Panzica alza il livello di allerta: «Con queste due norme si mettono a rischio miglia di posti di lavoro negli enti medio-piccoli. E questo rischio non può permetterselo nessuno. Anche volendo pensare che i due commi siano stati inseriti in buona fede nella Finanziaria, va preso atto del fatto che il sistema non reggerebbe alla loro applicazione».

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