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La maggioranza trova l'accordo sulla manovra, l'intesa alla prova delle Camere

Pochi fondi, solo ritocchi a casa e pensioni. Modificate le norme sugli affitti

Le risorse sono poche. E tempo da perdere non ce n’è. Con questo imperativo Giorgia Meloni chiude l’intesa con gli alleati sulla manovra che arriva in Parlamento, a 15 giorni dal varo, con pochi ritocchi rispetto alle intenzioni inziali. Modifiche che però placano, almeno per il momento, Lega e Forza Italia che possono rivendicare il mantenimento di quota 103, sorvolando sulle forti penalizzazioni, e le precisazioni sulla cedolare per gli affitti brevi. Che comunque aumenta dalla seconda casa in poi ma accompagnata da un codice anti-sommerso che consentirebbe, nei primi calcoli, di portare fino a un miliardo in più al taglio delle tasse.

Le dichiarazioni bellicose della vigilia, al vertice a Palazzo Chigi cedono alla realpolitik: il debito italiano è sotto la lente delle agenzie di rating, i venti di guerra, su due fronti, non lasciano troppo spazio all’ottimismo. Bisogna rimanere coi piedi per terra, pensare che l’orizzonte è quello della legislatura ed evitare sbavature che minino quella immagine di «compattezza e determinazione» indispensabili in una fase così delicata.

Il vertice dura un’ora. Quasi più di quanto è servito al Cdm per approvare la manovra. Ma la premier vuole essere sicura che non ci saranno altri distinguo prima di inviare il testo al Senato, dove la manovra inizierà il suo iter parlamentare. Concede poco, e ottiene in cambio la rassicurazione che la maggioranza non presenterà emendamenti (e non alimenterà altre polemiche). Un unicum, negli anni più recenti. Fatta eccezione per l’ultima manovra del governo Berlusconi, nel 2011. Se ci saranno da fare altri aggiustamenti, è il ragionamento che si fa al tavolo, si cercherà di trovare spazio in altri provvedimenti. Lo stesso codice anti-evasione per fare emergere chi affitta in nero le case per pochi giorni ai turisti andrà nel decreto Anticipi collegato alla manovra.
Bisogna evitare il classico assalto alla diligenza, che comunque non avrebbe molte chance visto che a disposizione, per le modifiche, ci saranno solo 100 milioni per il 2024 e altrettanti per il 2025. Magari serviranno per rivedere l’Iva sui pannolini, che ora passano al 22%. O per assicurare alla Rai finanziamenti sufficienti a evitare di fare troppa concorrenza a Mediaset sul mercato pubblicitario. Non si è parlato del tetto agli spot, assicura Maurizio Lupi, ma c’è l’intenzione del governo di farsi carico della questione, per sostenere il piano industriale e consentire alla tv di Stato di continuare a esercitare il suo ruolo di servizio pubblico.

Ora la parola passerà comunque al Parlamento, dove le opposizioni annunciano battaglia, stigmatizzando il bullismo istituzionale dello stop agli emendamenti imposto alla maggioranza (copyright dell’ex presidente della Camera Roberto Fico). Il Pd denuncia che si tratti di un «bavaglio che altera l’equilibrio tra poteri» e nel frattempo comincia un ciclo di contro audizioni alle quali dovrebbe partecipare anche la segretaria Elly Schlein. Italia Viva rilancia la disponibilità delle opposizioni ad «ospitare» le richieste della maggioranza. E sarà da vedere se non ci saranno proposte, dalle tasse ai bonus, che metteranno in difficoltà partiti che sostengono il governo. Il governo, in ogni caso, potrebbe presentare un mini-pacchetto di modifiche, facendosi carico delle istanze di maggioranza e opposizione.

Per ora comunque, non solo Fdi ma anche Lega e Forza Italia assicurano di essere pronti a rispettare l’ordine di scuderia, professandosi tutti «soddisfatti», a partire da Antonio Tajani, di quanto ottenuto in queste due settimane di trattative. Ma c’è chi osserva nella maggioranza, sotto garanzia di anonimato, che ancora una volta, alla fine ha «vinto l’asse Palazzo Chigi-Mef».

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