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Pensioni, Giorgetti frena: «Riforma impossibile»

Il ministro punta il dito sulla denatalità: «Pochi figli in Italia, nel medio periodo i conti non reggeranno»

Giancarlo Giorgetti - Ministro dell'Economia

Una manovra «complicata», che interverrà sicuramente a favore dei redditi medio-bassi, ma con cui «non si potrà fare tutto». Il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti gioca d’anticipo e, prima che parta l’assalto alla diligenza, detta «l’indirizzo» della prossima legge di bilancio. Il cui sentiero è reso stretto dal nodo delle risorse. Ma su cui pesa anche il tema delle nuove regole del Patto di stabilità. La ripresa del negoziato a Bruxelles è alle porte e l’Italia, che come posizione negoziale chiederà di escludere gli investimenti, preme perché si approvi entro l’anno la riforma, in modo da avere le nuove regole dal 1 gennaio 2024. «La situazione è ancora eccezionale», l’Europa lo capisca - dice Giorgetti - o si rischia l’autolesionismo.
I dossier che impegneranno il governo in autunno sono già caldi. A partire dalla manovra, su cui Giorgetti ha fatto a luglio un primo check con i singoli ministri. «Sarà una legge di bilancio complicata», mette in chiaro Giorgetti in videocollegamento al Meeting di Rimini: non c’è spazio per tutto e gli interventi saranno messi in «ordine di priorità». Il refrain è sempre lo stesso, ma la necessità di ribadirlo suona come un avvertimento a desideri e bandierine dei partiti. Un paio di indicazioni su cosa ci sarà, le fornisce lo stesso Giorgetti: «Certamente dovremo intervenire a favore dei redditi medio-bassi», come fatto con la decontribuzione perché l’inflazione riduce fortemente il potere d’acquisto, e «dovremo anche usare le risorse a disposizione per promuovere la crescita
e premiare chi lavora siano essi gli imprenditori o i lavoratori». Un tema che resta all’attenzione del governo è poi quello della natalità. Giorgetti intende riproporlo, «è fondamentale», perché «non c’è nessuna riforma o misura previdenziale che tiene nel medio e lungo periodo» con i numeri che ha oggi l’Italia, avverte. Parole che sembrano allontanare l’ipotesi di una riforma complessiva degli assegni: l’intenzione, infatti, sarebbe quella di lavorare alla proroga di Quota 103. La ministra del Lavoro Marina Calderone infatti allarga l’orizzonte: si guarda ad «un percorso che è iniziato e arriverà a compimento in legislatura», dice da Rimini, aprendo invece alla possibilità di un Ape sociale «più ampia» e a rivedere gli anticipi per le donne. La manovra conterrà anche sostegni al lavoro, assicura la ministra, che ha già presentato le proprie richieste al Mef.

In rampa di lancio c’è la riproposizione del taglio del cuneo contributivo in scadenza a fine anno. Resta tuttavia da capire se verrà prorogato nella versione più corposa introdotta con il decreto primo maggio (7 punti per i redditi fino a 25mila e 6 per quelli fino a 35mila), per la quale servono 9-10 miliardi, o facendo una media con il taglio deciso avviato con la scorsa legge di bilancio. A determinare ogni scelta saranno le risorse: una coperta che appare ancora corta, con la necessità di trovare per la manovra circa 20-25 miliardi. Al momento, a fronte di un elenco già ricco di uscite (oltre al cuneo, le spese obbligate stimate in 6 miliardi, la riduzione dell’Irpef a 3 aliquote per cui si cercano almeno 4 miliardi, la replica della tassazione agevolata sui premi di produttività e i fringe benefit cui servono circa 1-2 miliardi, oltre al capitolo pensioni), la voce entrate conta solo i 4,5 miliardi ricavati in deficit dal Def e i 300 milioni per il 2024 previsti dalla spending review dei ministeri. Cui vanno aggiunte le risorse che il governo punta a raccogliere dal nuovo rapporto collaborativo tra fisco e contribuente e dalla nuova tassa sugli extraprofitti delle banche, da cui sono attesi circa 2,5 miliardi. Proprio sugli extraprofitti si lavora alle possibili modifiche in vista della conversione in Parlamento: l’obiettivo sarebbe di garantire il massimo gettito per il 2023, alleggerendo il peso per le banche e la soluzione cui si guarda è quella del credito d’imposta. Un’ipotesi subito apprezzata dal mercato, con le banche in luce a Piazza Affari. Mentre il governo esclude che la tassa venga estesa ad altri settori (ipotesi che aveva preoccupato Farmindustria): «Non abbiamo intenzione di fare altro: non ci sono altri settori in cui ci sia una così evidente divaricazione», assicura il ministro dell’Industria Adolfo Urso.

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