«Le 30 persone morte avrebbero potuto essere salvate, se le autorità italiane e maltesi avessero coordinato per tempo un’operazione di soccorso». In un comunicato congiunto, Alarm Phone, Mediterranea Saving Humans e Sea-Watch, tornano sul naufragio al largo della Libia di sabato scorso.
«Queste morti - sottolineano - non sono il risultato di un incidente, sono la conseguenza di scelte politiche deliberate. Le autorità italiane e maltesi sarebbero potute intervenire immediatamente; invece, hanno scelto di aspettare troppo a lungo e hanno individuato nella cosiddetta guardia costiera libica l'autorità responsabile e “competente”, perdendo così il tempo necessario per soccorrere tutti coloro che rischiavano la vita in mare».
«Nonostante le condizioni del mare estremamente critiche e lo stato disperato dell’imbarcazione - proseguono le ong - né il Centro di coordinamento italiano, nè quello maltese, né il Centro libico hanno mobilitato le proprie risorse per un’operazione di salvataggio per oltre 30 ore dal primo allarme lanciato da Alarm Phone. Non hanno proceduto immediatamente a coordinare i soccorsi avvalendosi di assetti mercantili presenti nell’area, sebbene il Centro di Roma avesse già coordinato diverse operazioni di questo tipo al di fuori della sua area Sar. Inoltre, il naufragio è avvenuto in acque internazionali, al di fuori delle acque territoriali libiche. La barca in difficoltà si trovava all’interno dell’area di operazioni della missione Eunavformed Irini e della missione italiana Mare Sicuro, con navi militari italiane ed europee costantemente presenti che tuttavia non sono intervenute a soccorre l'imbarcazione in pericolo».
«Nessuno di questi attori - sostengono ha risposto al mayday inviato da Seabird 2, il velivolo da ricognizione di Sea-Watch, né è stato coinvolto nelle operazioni di soccorso da parte dei ben informati Centri di coordinamento italiani o maltesi. Dopo ore di inutile attesa, le autorità italiane, che abitualmente ostacolano le operazioni di soccorso delle ong, hanno invece delegato tale difficile compito a delle navi mercantili non attrezzate per questo tipo di operazioni». «'Ritardare i soccorsi e delegarli a navi mercantili non equipaggiate per il soccorso in mare - concludono - fa parte di una strategia politica che finisce per consegnare le persone nelle mani delle milizie libiche o per abbandonarle in mare. La responsabilità primaria della scomparsa di queste 30 persone, così come per tutti coloro che sono morti o dichiarati dispersi sui confini marittimi dell’Europa, è italiana, maltese, e di tutti gli Stati Membri dell’Ue, così come delle istituzioni dell’Unione Europea».
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