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Le gabbie salariali esistono già: a Milano stipendi doppi di Ragusa

Quando in Italia si parla di gabbie salariali si scatena una polemica aspra per criticare una sorta di comportamento razzistico, in base al quale a parità di lavoro svolto deve per forza di cose corrispondere una retribuzione uguale. Ma la provocazione lanciata dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara in merito agli stipendi differenziati per aree degli insegnanti, ha riaperto il dibattito su un tema fortemente divisivo che, però, deve essere affrontato con lucidità e partendo dai dati di fatto.

L’Osservatorio JobPrincing pubblica annualmente un interessante Geography Index, che analizza i salari percepiti non solo a livello regionale ma perfino su scala provinciale. Il più recente, del 2022, fotografa in modo inoppugnabile le dinamiche retributive territoriali, dal quale emergono differenziali davvero molto forti tra le diverse aree del Paese. Ne deriva che fra Nord e Sud, in media, il delta retributivo raggiunge il 17%. Una differenza che diventa ancora più significativa, sfiorando il 52%, se si confronta la provincia con la retribuzione media più elevata, Milano, e quella con il salario più basso, Ragusa, scrive il Corriere economia.

La Lombardia svetta al primo posto con stipendi medi pari a 32.191 euro, seguita dal Trentino e dal Lazio, con salari medi superiori ai 31mila euro. La prima regione meridionale è la Campania, al quattordicesimo posto, con poco più di 27mila euro medi, a ruota la Puglia con 26.600 euro. La Sicilia è diciottesima con 26.205, seguita dalla Calabria con 25.698 e, ultima in graduatoria, la Basilicata con 25.317 euro. Nella classifica provinciale, Milano è ovviamente la prima, con 35.724 euro medi di guadagno, Roma quarta con 32.157. La provincia di Bari è la prima meridionale, con 27.977 euro medi, al cinquantaseiesimo posto, seguita da Palermo al cinquantanovesimo e dalla pugliese Barletta-Andria-Trani, al sessantaduesimo. Napoli, prima provincia campana, è settantaduesima, con 27.127 euro di retribuzione, ultima Ragusa con 23.525. Nelle altre provincie della Campania si percepisce meno a parità di lavoro: 26522 euro a Benevento, 26.235 a Salerno, 26.115 a Caserta e infine 25.990 ad Avellino. In Puglia, si va dai quasi 28mila euro di un barese ai 25.274 di un tarantino. La verità è che la divisione in zone salariali, pur non essendo così rigida come tra il 1946 e il 1972, quando furono abolite, è una realtà di fatto già oggi. Anche se, ovviamente, vale solo per il mondo privato, poiché i dipendenti pubblici hanno tutti lo stesso stipendio in Italia a parità di mansione. Ciò avviene in quanto oltre ai contratti collettivi nazionali che fissano una base retributiva di partenza uguale per tutti, ci sono i cosiddetti accordi aziendali di secondo livello. Grazie a questi, al Nord le paghe diventano più alte in media rispetto al Sud, a parità di lavoro. La stessa persona guadagna il 9% in meno al Sud rispetto al Nord, in base ai calcoli effettuati dalla Banca d’Italia, nel 2022: secondo gli economisti di via Nazionale, infatti, la paga oraria lorda media nel meridione è più bassa del 28% rispetto a quella del Centro-Nord, nel settore privato. Questo si spiega in parte con la maggior diffusione del lavoro in nero, ma anche considerando i soli rapporti di lavoro regolari, la differenza resta del 17%. E se si tiene conto anche delle differenze nel settore lavorativo e nelle dimensioni delle aziende, della tipologia di lavoro e delle caratteristiche della popolazione, età, sesso e nazionalità, resta comunque una differenza del 9% nelle paghe.

A parità di tutto, quindi, sentenzia Bankitalia, un lavoratore del settore privato al Nord guadagna comunque il 9% in più di un suo equivalente al Sud. Se poi si vanno a considerare altri fattori, a cominciare dalle differenze di costo della vita e di servizi pubblici offerti ai cittadini, allora si vede che nel Mezzogiorno mediamente vivere costa meno, ma anche i più elementari diritti di cittadinanza non vengono forniti in egual misura rispetto a un residente del Nord. Si pensi ai trasporti, agli ospedali, ai servizi comunali, come segnala lo stesso rapporto della Banca d’Italia.

Nell’ultimo Rapporto Svimez del 2022, la questione della stagnazione salariale viene affrontata come grande questione nazionale che si amplifica nel Mezzogiorno. Le retribuzioni lorde unitarie in Italia sono cresciute in termini nominali tra il 2008 e il 2021 di poco meno del 9% rispetto all’oltre 27% della media dell’Ue. In termini reali, le retribuzioni si sono ridotte nel Mezzogiorno del 9,4%, contro il 2,5% in media nel Centro-Nord. È quindi al Sud che la questione salariale determina conseguenze più rilevanti sulle condizioni sociali, complici il tasso di occupazione più basso, la precarizzazione del mercato del lavoro più evidente, il lavoro fragile più esposto al rischio povertà. Configurandosi come una vera e propria emergenza sociale, soprattutto a causa della diffusione del lavoro povero, laddove i working poor in Italia sono circa 3 milioni, pari al 13% degli occupati, ma nelle regioni meridionali diventano circa il 20%.

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