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Migranti, nuove scintille fra Italia e Francia: «I nodi non sono stati sciolti», dicono da Parigi

«I nodi con l’Italia» sulla questione della migrazione, in particolare sull'applicazione del diritto, «non sono ancora sciolti». A marcare la distanza - mentre a Bruxelles è in corso il Consiglio Affari Interni con un capitolo espressamente riservato alla delicata riforma del trattato di Dublino - è Parigi, alla vigilia del summit di Alicante, che mette al tavolo i nove Paesi Ue del Mediterraneo.
L’Eliseo torna sullo scontro con Roma andato in scene nelle prime settimane di governo Meloni: «Non abbiamo visto ancora modifiche nella posizione delle autorità italiane sull'applicazione del diritto dello Stato di bandiera», nota una fonte della presidenza francese. Che poi è uno dei capitoli più delicati, e ancora aperti, su cui ci si sta confrontando in sede Ue per arrivare alla riforma sulle regole che governano gli ingressi in Europa.

Insomma, le scintille continuano sull'arco transalpino. Palazzo Chigi nega, ad esempio, che sia arrivato alcun «invito ufficiale» dalla segreteria di Emmanuel Macron per un incontro con la premier Giorgia Meloni, al contrario di quanto sostenuto dall’Eliseo, che dice di essere in attesa di «proposte» sulle date di un viaggio a Parigi, in modo da sciogliere le tensioni sul caso della Ocean Viking. «Immaginiamo che determinati inviti non si facciano a mezzo stampa», precisano fonti del governo italiano. E nemmeno, per ora, sono previsti incontri a margine del vertice di Alicante, dove il tavolo sarà ben più piccolo di quello del Consiglio Europeo (in calendario giovedì prossimo).

Eppure, stando a diverse fonti diplomatiche, le tensioni pubbliche non entrano nelle stanze dei bottoni di Bruxelles, dove si tengono i negoziati che contano. Ad esempio, appunto, il Consiglio Affari Interni. Anzi. Nella capitale belga si starebbero persino compiendo passi avanti. «Oggi abbiamo raggiunto un indirizzo politico sul delicato bilanciamento tra solidarietà e responsabilità», assicura Ylva Johansson, commissario europeo per gli Affari interni. In pratica un «compromesso politico sul principio che governa» l’equilibrio tra responsabilità (dei salvataggi) e solidarietà (nei ricollocamenti) e ora «toccherà alla presidenza svedese tradurre questo accordo in atti legislativi».

Il riferimento all’applicazione del diritto dell’Eliseo ricorda però ciò che sta a cuore a molti falchi del Nord Europa e non solo: il rispetto delle regole attuali sulle registrazioni nei Paesi di primo sbarco e dunque la riduzione dei movimenti secondari dei migranti. Un equilibrio, appunto, non facile da trovare e sempre soggetto a frane. Su questo aspetto è la stessa Francia però a stemperare. «Ci siamo focalizzati su una discussione franco-italiana quando, invece, è una discussione evidentemente molto più ampia», ragionano all’Eliseo salutando i progressi realizzati rispetto al mese scorso, in particolare, con la riunione straordinaria dei ministri dell’Interno Ue del 25 novembre, quando «si è capito bene che si trattava di una questione europea».

Il lavoro continua. In tutto questo, però, a Bruxelles si celebra un fatto certo: l'ingresso della Croazia in Schengen, l’ecosistema europeo che permette di viaggiare senza frontiere, dopo il via libera del Consiglio. Certo, stando alle promesse di Commissione e Presidenza di turno (Repubblica Ceca), Schengen sarebbe dovuto crescere di tre membri, con l’arrivo anche di Romania e Bulgaria, completando così la «cintura» blustellata, saldandosi ai confini greci. Invece no: il veto dell’Austria (e dell’Olanda) ha lasciato nuovamente fuori Bucarest e Sofia, nonostante per l'esecutivo Ue i due Paesi abbiano ormai i requisiti necessari.

«Una scelta incomprensibile e ingiustificata», ha commentato deluso il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, secondo cui Romania e Bulgaria «darebbero un contributo importante al controllo dei confini orientali dell’Ue». Ma siccome sull'argomento il boccino è nelle mani degli Stati membri, la mozione è stata respinta. «Nonostante i chiari segnali, la presidenza ha cercato freneticamente di arrivare a una decisione e infine forzando la votazione, cosa molto insolita date le circostanze», confida una fonte diplomatica. Ora, forse, la patata bollente atterrerà sul tavolo dei leader al Consiglio Europeo per un ulteriore giro di vedute (la Germania era ad esempio a favore).

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