Era una presenza ormai abituale, un rito sempre più stanco che ha attraversato, tra gli alti e bassi delle innumerevoli ondate, tutta l’epoca del Covid in Italia. Il bollettino quotidiano dei dati cambia volto, come annunciato dal ministro Orazio Schillaci, e diventa settimanale. Si chiude quindi simbolicamente un’epoca, dopo oltre due anni e mezzo durante i quali non c’è stato un solo giorno, domeniche e festivi compresi, in cui gli italiani non conoscessero nel dettaglio il numero di contagi nelle 24 ore precedenti, suddivisi per regioni, a cui si aggiungono i ricoveri, le terapie intensive, i guariti, i decessi, il numero di tamponi e il numero delle persone attualmente malate.
Ma non si tratta di un libera tutti, come ha sottolineato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo intervento per la cerimonia al Quirinale per i Giorni della Ricercà. «Dopo oltre due anni e mezzo di pandemia non possiamo ancora proclamare la vittoria finale sul Covid-19. Dobbiamo ancora far uso di responsabilità e precauzione. La Sanità pubblica ha il compito di
mantenere alta la sicurezza soprattutto dei più fragili, dei più anziani, di coloro che soffrono per patologie pregresse. Tuttavia sentiamo che il periodo più drammatico è alle nostre spalle. La scienza è stata decisiva».
Il reintegro del personale sanitario non vaccinato
Per quanto riguarda il personale sanitario soggetto a procedimenti di sospensione per inadempienza all'obbligo vaccinale e l'annullamento delle multe previste dal dl 44/21, in vista della scadenza al prossimo 31 dicembre delle disposizioni in vigore e della preoccupante carenza di personale medico e sanitario segnalata dai responsabili delle strutture sanitarie e territoriali, è in via di definizione un provvedimento che consentirà il reintegro in servizio del suddetto personale prima del termine di scadenza della sospensione. È quanto si legge nella nota del ministero della salute.
Il conteggio quotidiano dopo la scoperta del «paziente 1»
La storia del bollettino inizia il 23 febbraio 2020: solo due giorni prima, a Codogno, la notizia del primo contagio interno di Covid in Italia, il «paziente 1» Mattia Maestri, nemmeno quarantenne e in terapia intensiva. Parte il rito della lettura dei dati nella sede della Protezione Civile, da parte dell’allora capo del dipartimento Angelo Borrelli. Il tempo del lockdown, varato pochi giorni dopo, e del dolore, in cui gli italiani intorno alle 17 di ogni pomeriggio si sintonizzano per seguire, prima con speranza poi con crescente angoscia, l’andamento di dati terribili, fino al tanto atteso calo di fine primavera. Il bollettino diventa una sorta di istituzione: nella directory della Protezione Civile che li raccoglie tutti il primo file Pdf è datato 2 marzo 2020, un’era geologica fa: i casi totali erano 2.036 (oggi sono oltre 23 milioni), e in molte Regioni del Sud la casella segnava ancora zero. Inevitabili, trattandosi di numeri, le letture contraddittorie o errate: la prima questione fu su quale fosse il dato più rilevante per capire cosa stava succedendo: Borrelli dava lettura della variazione nel numero dei malati attuali, che da un punto di vista di protezione civile è ovviamente il più interessante perchè sono persone che hanno bisogno di assistenza, e per alcuni giorni l’equivoco serpeggiò anche nei media, per poi dirottarsi tutti sul dato che davvero interessava ai fini dell’andamento epidemiologico, ossia la variazione dei casi totali (quello degli attualmente positivi è un numero viziato dai guariti e dai deceduti, che escono dal «bacino» dei malati). Sulla scorta dello stesso principio, dopo un anno il bollettino cambiò con una aggiunta significativa: al numero delle terapie intensive totali, che variava in base ai nuovi ricoveri ma ovviamente anche alle dimissioni e ai decessi, venne aggiunto quello degli ingressi giornalieri in rianimazione.
Un compagno quotidiano con 16 colonne
Poi il bollettino è rimasto pressochè intatto fino a oggi: un file pdf di una pagina con 16 colonne. Dai ricoverati con sintomi alle intensive, dai contagi ai guariti, fino al numero dei tamponi, altro elemento che nel corso dei primi mesi si è lentamente affermato come dato essenziale, insieme a quello che ne deriva, ossia il famoso «tasso di positività», cioè quanti contagi vengono pescati ogni cento tamponi. Non era solo una curiosità scientifica: in base a quei numeri, a quei trend, nella seconda fase, quella dell’Italia «a colori», un dato fuori soglia sui ricoveri, per esempio, poteva portare a chiusure, a coprifuoco, a mascherine obbligatorie. Man mano che l’emergenza arretrava però, grazie soprattutto ai vaccini ma anche alle misure di contenimento, modulate in base al periodo, anche la presentazione del bollettino perdeva pezzi: la conferenza stampa quotidiana dopo alcuni mesi diventa bisettimanale, e poi settimanale, ogni venerdì, per diventare infine un’una tantum sempre più rara. Il bollettino è rimasto «nudo» in un certo senso: ogni giorno, a un orario variabile tra le 15 e le 18, viene pubblicato sul portale dedicato, ma senza spiegazioni o valutazioni, che vengono rimandate al report settimanale messo a punto da ministero e Iss e pubblicato il venerdì mattina, quello che rende conto di Rt e incidenza settimanali. Ingenerando un’altra serie di equivoci e incertezze sul reale andamento pandemico: il lunedì, ad esempio, i casi sono sempre di meno rispetto agli altri giorni, perchè riferiti al weekend quando i tamponi sono più che dimezzati. Lo stesso nei post-festivi. Con il risultato che per anni molti media ancora hanno scritto «oggi casi in calo» il lunedì e «casi tornano ad aumentare» il martedì, ignorando fosse una dinamica standard. Quello che conta è la variazione settimanale, ed era quindi fondamentale confrontare non un giorno con il precedente ma con lo stesso giorno della settimana prima. E poi l’altro grande equivoco, a volte in buona fede a volte strumentale, sui ricoveri: a ogni ondata, puntualmente, i casi inizialmente salgono e i ricoveri continuano a scendere, sollevando le voci degli esperti più «ottimisti» secondo cui il virus si è rabbonito, salvo poi inevitabilmente scoprire che semplicemente la curva dei ricoveri sale in genere una decina di giorni dopo quella dei contagi (bisogna dare il tempo a un malato di aggravarsi), quella delle intensive ancora più tardi e da ultimo quella dei decessi. Numeri, percezioni, paura e speranze, insomma: il bollettino Covid ha accompagnato nel bene e nel male gli italiani in questa drammatica vicenda. Ormai odiato da molti, ignorato dalla maggioranza, ancora compulsato con angoscia dai non pochi rimasti terrorizzati e sotto choc dalla pandemia. Ora si volta pagina, i dati tornano alla loro destinazione naturale in tempo di normalità, ossia agli esperti, con la speranza che non serva dover tornare, magari in inverno, a una comunicazione più assidua.
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