Non è dato sapere se il disegno politico è maturato già ad agosto, quando hanno preso forma le candidature. Ma le mosse che fra l’estate e ieri Giorgia Meloni ha compiuto segnano la volontà evidente di fare della Sicilia l’epicentro della forza elettorale di Fratelli d’Italia, costruita sull’asse che ora fa capo a Renato Schifani a Palazzo d’Orleans e a Nello Musumeci nel ministero in assoluto più influente per qualunque Regione dal Lazio in giù. L’incarico affidato ieri a Musumeci, ministro per il Sud e per il Mare, porta con sé deleghe che ne fanno uno degli uomini più forti del governo. L’ex presidente della Regione gestirà un centinaio di miliardi che fanno riferimento al Pnrr e ai fondi di sviluppo e coesione: finanziamenti che il ministero programmerà con le Regioni, che poi sono chiamate a investirli. E ciò fa di Musumeci l’interlocutore primo di Schifani. Il presidente della Regione, che ha avuto ad agosto come big sponsor Ignazio La Russa, ieri si è mostrato molto soddisfatto della «sinergia che si sta creando col governo nazionale». Forte anche, Schifani, dei buoni rapporti coltivati con Salvini e la Lega che ora esprimono il ministro dell’Economia e con Adolfo Urso, altro siciliano che guiderà lo Sviluppo Economico. È su questi pilastri che si muoverà pure la Regione nell’immediato futuro. In questo modo la Meloni e La Russa hanno anche mantenuto una influenza fortissima sulla Sicilia malgrado abbiano perso la presidenza della Regione. Una rinuncia resa necessaria ad agosto in nome dell’unità del centrodestra dopo che da mesi il coordinatore forzista Gianfranco Micciché (ora escluso da ruoli chiave) picconava Musumeci impedendone di fatto la riconferma a presidente della Regione. Musumeci ha provato fino all’ultimo a resistere e restare a Palazzo d’Orleans, poi La Russa gli ha suggerito il passo indietro ma solo in favore di Schifani e non di altri nomi suggeriti da Micciché. Ora il cerchio si chiude. Alla nomina a ministro Musumeci arriva dopo una carriera politica svolta tutta nella destra: a 15 anni è entrato nella Giovane Italia, poi è stato segretario dell’Msi a Catania alla fine degli anni Ottanta. E a metà degli anni Novanta è stato il primo presidente di Provincia eletto direttamente dal popolo. Quando divenne parlamentare europeo alla fine degli anni Novanta litigò con Gianfranco Fini che, si dice, non gli perdonò di averlo battuto nello stesso collegio elettorale per le Europee. Musumeci è stato sottosegretario al Lavoro nell’ultimo governo Berlusconi. Poi presidente dell’Antimafia dal 2012 al 2017. E fino al 4 agosto presidente della Regione. «Il Sud è al centro dell’agenda politica nazionale - ha rilevato ieri Ruggero Razza, il delfino rimasto in Sicilia -. A Palermo non aleggerà più il fondato timore di un governo nazionale ostile, come talvolta accaduto nel recente passato». La delega ricevuta dalla Meloni ieri è così ampia che ha suscitato la precisazione della Lega sul fatto che non svuoterò di competenze il ministero delle Infrastrutture. Il nodo è in questo caso la eventuale gestione dei porti. Ma va ricordato che la Meloni, alcuni mesi fa, proprio in Sicilia aveva annunciato la sua intenzione di centralizzare in un ministero le competenze sugli hub. Non è un caso che Confindustria Sicilia, con Alessandro Albanese, abbia ricordato a caldo che «Musumeci è stato un interlocutore valido per le imprese nel corso del suo governo. Ha lavorato bene sulle Zes e sulla decontribuzione, ambiti tanto cari al mondo produttivo, siamo certi che proseguirà il suo impegno su questi temi».