Un ultimo tentativo con la consapevolezza che il quadro politico fosse ormai lacerato tra un centrodestra già ebbro di vittoria alle prossime elezioni e un Movimento Cinque Stelle in preda a rigurgiti di populismo e venti di scissione. Sergio Mattarella, come ogni presidente della Repubblica, ha fatto il possibile per evitare la fine traumatica della legislatura ed anche di un governo, quello guidato da Mario Draghi, da lui voluto per guidare il Paese tra Covid e guerra e gestire il difficilissimo percorso della messa a terra del Pnrr.
Non a caso aveva rifiutato la settimana scorsa le dimissioni del premier: si vedeva ancora un pertugio da allargare, un viottolo da percorrere. E non è stato facile neanche per il capo dello Stato convincere l’ex Governatore della Bce a riflettere, meditare, provarci ancora. Un lavoro ai fianchi, è stato definito, che ha portato tempo per consegnare al premier la pancia del Paese, cioè quel mondo reale di cittadini e associazioni che lo hanno invitato, a volte pregato, a rimanere a palazzo Chigi.
Non è bastato. Mattarella è stato costretto a prendere il telefono per un ultimo chiarimento con i leader delle forze politiche in colloqui che, viene riferito, si sono sviluppati a metà tra un’esplorazione delle residue possibilità in campo e una preparazione del dopo Draghi. Perchè il Quirinale era pronto da tempo all’evento traumatico: gli uffici del presidente avevano già studiato nei dettagli un percorso che ha il suo traguardo nella casella del 2 ottobre individuata come data più idonea per richiamare gli italiani alle urne. Il Quirinale avrebbe voluto correre di più ma la settimana precedente, il 25 settembre, è stata cassata per non disturbare la partenza del capodanno ebraico.
Probabile quindi che il presidente della Repubblica, dopo aver ricevuto Mario Draghi per la procedura di dimissione si possa prendere qualche giorno prima di sciogliere formalmente le Camere per poter entrare nei 70 giorni che al massimo possono passare dallo scioglimento alle elezioni. Fonti di maggioranza hanno fatto sapere che il presidente del Consiglio potrebbe annunciare domani all’aula della Camera le proprie dimissioni.
Ma soprattutto, da giorni, la preoccupazione del Quirinale è quella di costruire un paracadute all’Italia. Una protezione che possa portare ordinatamente il Paese alle urne e proteggerlo dalle inevitabili ripercussioni sui mercati che la fine del governo Draghi comporterà. Questo paracadute è ancora Mario Draghi che non è stato sfiduciato e potrà, forse obtorto collo, traghettare con maggior vigore un Italia che da qui alla formazione del nuovo governo, cioè almeno novembre, ha molte, molte cose da fare e compiti da eseguire.
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