Mentre i Grandi elettori facevano salire di minuto in minuto il suo nome nell’urna Sergio Mattarella era di nuovo nel nuovo appartamento preso in affitto a Roma per controllare lo stato di avanzamento dei lavori e del trasloco delle sue cose dalla storica casa di Palermo. Basta quest’immagine dicotomica per chiarire quanto sia diversa l’atmosfera tra l’entourage del presidente della Repubblica e quella che si respira in queste ore a Montecitorio. Dai Grandi elettori straborda la voglia di Mattarella, dal Quirinale si ricordano le parole del capo dello Stato, il trasloco in corso e ci si limita ad osservare che certamente Mattarella «non vuole interferire» in un percorso che non gli appartiene. Ma anche oggi nessuno al Colle può ignorare la realtà e quei voti che crescono indicano qualcosa di più di un sentimento di riconoscenza. Naturale quindi che vengano osservati, seppur da lontano e con pieno disincanto.
Riparliamone quando ci saranno i voti di Salvini e della Meloni, è la risposta tra il serio e il faceto quando si chiede per l’ennesima volta cosa farebbe il presidente se questo segnale diventasse un fatto. Nessuno ci crede al Quirinale dove anche lo staff sta completando gli scatoloni e regna un clima da fine impero. Sergio Mattarella è stato chiaro, anzi chiarissimo: una sua rielezione farebbe diventare un’eccezione la norma e lui da fine costituzionalista la contesta. Ma è altrettanto chiaro che Sergio Mattarella ha sempre chiesto a tutti di lavorare per «il bene comune» rinunciando agli interessi di parte. E ove tutto fallisse, quando l’urgenza di esprimere un capo dello stato diventasse insostenibile, magari con i primi cedimenti dello spread, il desiderio misto a timore dei molti potrebbe prendere il sopravvento e spingere il nome di Mattarella sempre più in alto nel pallottoliere. E questo timore, unito alla consapevolezza che sarebbe difficile - se non impossibile - esprimere un presidente migliore dell’attuale, potrebbe deflagrare anche nelle segreterie dei partiti. Anche in quelle del centrodestra. Da settimane se non mesi i parlamentari sanno che la miglior garanzia della tenuta del governo sarebbe proprio lui, Sergio Mattarella, il presidente che non vuole il bis.
Anche i costituzionalisti, quasi tutti d’accordo con le perplessità del presidente, ricordano che non esiste una norma che lo impedisce. Ma soprattutto che paradossalmente il sistema tornerebbe in ordine costituzionale ove mai Mattarella fosse rieletto e intanto la legislatura si chiudesse alla sua scadenza naturale. In mezzo infatti c’è una riforma costituzionale pesante, quella che riduce i parlamentari a soli 600. Il prossimo sarebbe un Parlamento ben più forte di legittimazione popolare per eleggere un presidente. Certo, l’obiezione è che il capo dello Stato non ha scadenza, dura un settennato. Ma un segnale sarebbe un’altra piccola ma decisiva riforma costituzionale sulla quale tutte le forze politiche si sono dette già d’accordo: abolire il semestre bianco e prevedere la non rieleggibilità del presidente.
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